La storia vera del volo United 93. La mattina dell’11 Settembre 2001 dall’aereoporto di Newark, New Jersey, decolla il volo 93 della United Airlines, diretto a San Francisco. Ben presto succede ciò che nessuno al mondo avrebbe mai potuto immaginare: quattro voli nella costa est degli USA vengono dirottati da terroristi islamici e deviati verso obiettivi simbolici. Due si schianteranno sul World Trade Center di New York causandone il crollo; uno sul Pentagono a Washington DC, sede della difesa; ma sullo United 93 i passeggeri si ribelleranno ai dirottatori e l’aereo sarà l’unico a non raggiungere l’obiettivo, probabilmente il Campidoglio o la Casa Bianca, precipitando in un campo a Shanksville, Pennsylvania, 20 minuti di volo dalla capitale. Nessun sopravvissuto.
United 93 è un film di straordinaria importanza dal punto di vista storico: è infatti il primo lungometraggio a trattare il tema dell’11 Settembre – se si esclude 11 Settembre 2001, progetto francese che riuniva 11 cortometraggi sul tema realizzati da undici registi di diverse nazionalità, e il documentario di Michael Moore Farenheit 9/11, Palma d’Oro a Cannes. Perfino il Cinema, solitamente scafato nell’uso delle immagini, ha avuto bisogno di anni per metabolizzare un evento di tale tragicità e portata, anche per riuscire a trovare chiavi di lettura e prospettive che evitassero di ricadere nella rappresentazione di quel giorno offerta dai media e ormai impressa nei nostri occhi – vedi lo straordinario corto di Iñarritu, dove l’unica soluzione era chiudere gli occhi. Ma il Cinema non ha solo la libertà, ma anche il dovere di confrontarsi con la storia, con ferite così laceranti. A breve uscirà World Trade Center di Oliver Stone, e sarà interessante confrontare i due lavori.
È significativo che sia proprio un regista come Greengrass a dirigere la pellicola: inglese, autore di Bloody Sunday, opera che narrava con stile documentaristico lo scontro sfociato nel sangue avvenuto a Derry, Irlanda nel Nord, fra truppe inglesi e manifestanti irlandesi. Anche questo film rispecchia scelte simili: realizzare un’opera di alto contenuto sociale con un’impostazione da documentario che evita facili sensazionalismi o spettacolarizzazioni che sarebbero risultate indubbiamente fuori luogo. La telecamera non riesce a guardare completamente in faccia l’orrore di quella data: si vede la cima incendiata delle torri gemelle, gli aerei che le colpiscono, e tutto attraverso gli occhi attoniti dei controllori di volo e dell’esercito.
Il film descrive con molta lucidità l’incapacità di reazione del sistema: l’esercito bloccato, incredulo, totalmente impreparato, e le basi di controllo del traffico aereo nel panico, con voli che sparivano, riapparivano; dirigenti costretti a prendere scelte drammatiche, che avrebbero coinvolto le vite di migliaia di persone.
Non si trova un solo momento di retorica, e Greengrass sceglie sempre una rappresentazione scarna, cruda, di forte impatto: il film si apre sulla preghiera dei terroristi che si preparano alla loro folle missione, e da quel momento la macchina segue ogni evento tremando, perché solo così è possibile capire il terrore, lo sgomento, il caos che ha regnato per un giorno nel mondo, il giorno in cui tutto sembrava destinato a finire per sempre. L’attimo più struggente e inquietante, nella sua semplicità, è quando il portellone dell’aereo viene chiuso dalle assistenti di volo, dopo che l’ultimo passeggero, ritardatario, è salito sul volo che segnerà definitivamente la sua esistenza. Si chiude una porta, un’epoca, un mondo che si conosceva e che in una mattina avrebbe improvvisamente cambiato volto.
I terroristi a tratti sembrano più vittime degli stessi passeggeri, corrotti da un’ideologia confusa, distorta, sanguinaria, che approfitta del loro disorientamento per trasformare le loro vite in armi di morte. La disperazione è prima di tutto nei loro occhi, le loro parole sembrano vaneggiamenti: si grida il nome di Dio mentre si accoltellanno i passeggeri, gesto che riassume la follia dell’impresa.
L’angoscia che permea la pellicola è in ogni frase, in ogni attimo, nella tragica constatazione che nessuno sarebbe uscito vivo da quell’aereo: le telefonate ai propri familiari, incapaci di riassumere in poche parole quello che una vita non è bastata a esprimere: “Ti amo” sussura un terrorista al telefono, prima del decollo, e poi tutti, uno per uno, saluteranno i genitori, i figli, i mariti e le mogli, in un’elegia che decreta la fine di ogni speranza.
Le telefonate sono, tra l’altro, la prima fonte di ricostruzione delle vicende sul volo, e difatti il film deve integrare i fatti conosciuti con ipotesi che colmino le inevitabili lacune nelle informazioni. Il regista, inoltre, ha scelto un cast di attori sconosciuti, che si sono immedesimati nei loro personaggi frequentando le famiglie dei caduti e vivendo per tutte le riprese separati dal cast di “terroristi”, per accentuare il senso di estraneità e disorientamento.
A chiudere il film lo schermo nero, il silenzio. Forse uscendo dalla sala si potrà riaprire gli occhi nel sogno impossibile che sia ancora la sera del 10 settembre e che il mondo non sia cambiato per sempre.
Titolo originale: United 93
Nazione: Gran Bretagna, U.S.A.
Anno: 2006
Genere: DrammaticoDurata: 91′
Regia: Paul Greengrass
Sito ufficiale: www.theflight93project.comCast: Lewis Alsamari, Cheyenne Jackson, Trish Gates, Khalid Abdalla, Opal Alladin, David Alan Basche, Richard Bekins, Starla Benford
Produzione: Universal Pictures, Working Title FilmsDistribuzione: UIP
Data di uscita: Cannes 2006
06 Luglio 2006 (cinema)