Aleš, che si fa chiamare Alex per raccogliere più “like”, è un ventenne praghese che spaccia droga ma sogna di poter diventare un rapper famoso come la stella dei club (ma anche e soprattutto dei social) Sergei B. Per poter registrare una canzone insieme a lui e scalare le classifiche, ci sarà però bisogno di raccogliere molti soldi… Inizia così una notte a base di avventure rocambolesche che porteranno ad esiti ben diversi da quelli sperati.

La prospettiva sghemba e ballerina di un video di TikTok, la concitazione dei minuti in cui una sostanza psicotropa inizia a fare effetto, la rapidità sincopata di un’improvvisazione rap: nel suo secondo lungometraggio il trentaduenne ceco Adam Sedlák fa un suo personale remix di tutti questi elementi, con l’aggiunta di colori e luci intermittenti capaci di mettere a dura prova anche gli spettatori non fotosensibili. Il risultato è una coincidenza quasi perfetta di forma e contenuto: in che altro modo raccontare una notte nel sottobosco degli avidi consumatori praghesi di cocaina e di pezzi rap in cui, peraltro, si parla essenzialmente delle droghe e dell’alterazione dello stato psicofisico a cui portano?

Sedlák, che quattro anni fa a Karlovy Vary aveva debuttato con il cameristico body horror Domestique, propone ora al pubblico boemo un lavoro molto diverso, dove però a fare da catalizzatore dell’azione è sempre il desiderio ossessivo, da parte di un protagonista frustrato, di approdare a uno stadio superiore (i successi sportivi in Domestique, la celebrità nel mondo del rap in Banger – “E tutti conosceranno il mio nome / E tutti conoscereranno la mia faccia…”, come sentiamo nell’amara canzone finale di Alex, quando le cose sono ormai andate storte). Di approdarvi, costi quel che costi, con risultati alla fine distruttivi. Il regista si lascia però alle spalle le atmosfere cupe, opprimenti e claustrofobiche del primo film e si lancia invece in una serie di isterici spostamenti fra interni ed esterni che fanno da sfondo alle (dis)avventure di un protagonista goffo nel volersi spacciare per ciò che non è (Adam Mišík, ottima prova) e della sua irresistibile “spalla” Láďa (Marcel Bendig, di origine rom, forse ancora più brillante): una coppia che pare fare il verso a quelle dei canonici romanzi picareschi, ed effettivamente a questi due “Ragazzi mai sobri” che sognano di diventare rapper ne succederanno di tutti i colori, non senza divertimento da parte del pubblico visto che non mancano situazioni da commedia degli equivoci, rovesciamenti comici della trama e, soprattutto, una profonda ironia che verrà inaspettatamente spezzata dal tragico finale. Inoltre, lo sguardo del regista non disdegna un certo divertito sarcasmo, soprattutto quando osserva alcuni VIP cechi nel ruolo di sé stessi (che si tratti del rapper pluritatuato e cocainomane Sergei Barracuda o della stella dell’arte contemporanea e “teppista culturale” David Černý, anch’egli con un debole per le polverine bianche), in ultima analisi molto più conformisti e vacui di quanto potrebbero credere i loro numerosi fan.

Banger inizia con una serie di ammiccanti video di TikTok dove ragazzine procaci fanno il labiale di una delle canzoni di Sergei B., e continua con un live di Instagram dove lo stesso Sergei B. annuncia un suo concerto, con gran dispendio di cuoricini da parte dei suoi followers. Perchè i rapper di oggi sono influencer prima ancora che cantanti, e la loro carriera passa in larga parte attraverso lo schermo del cellulare. Coerentemente, Sedlák anche dopo questo breve “preludio” continua a girare tutto il suo film col solo ausilio di un iPhone, con tutti i movimenti scattosi e le inquadradure imperfette che ne conseguono (e vale la pena ricordare che le riprese sono durate soltanto un paio di settimane: una rapidità che ben si sposa con il ritmo del film nel suo complesso): una scelta, come già detto, estremamente funzionale alla narrazione di un mondo giovanile che esperisce sé stesso e ciò che gli sta attorno attraverso questo filtro, e che parla la stessa lingua dei pezzi rap che ascolta e scrive. Anche chi conoscesse la lingua ceca nella sua variante colloquiale, infatti, avrebbe delle serie difficoltà a decifrare lo slang spinto e pieno di anglicismi che parlano tanto i rapper quanto gli aspiranti tali.

Se l’obiettivo di Sedlák era far letteralmente vivere allo spettatore un venerdì sera a base di droghe e rap senza un attimo di tregua, divertendosi ma anche riflettendo sulle dissonanze del reale spesso programmaticamente escluse dai video sui social, l’esperimento è senz’altro riuscito.