Una serata – che si rivelerà man mano fatale – dello chef Andy e del suo staff in un raffinato ristorante londinese, affollatissimo in occasione della vigilia di Natale. Nonostante gli scrupolosi preparativi, tutto sembra non andare come dovrebbe, tra ispezioni inattese, personale in ritardo, apprendisti nel panico e clienti troppo esigenti. A complicare le cose è anche la presenza di un ex collega di Andy, ora stella di programmi televisivi a tema culinario. Per il protagonista sarà ben difficile tenere le redini della situazione…

La cucina di un ristorante non dovrebbe avere più segreti per noi, spettatori e avventori che ormai da una decina d’anni ci siamo affezionati ai più svariati programmi televisivi dove i complicati procedimenti necessari a far arrivare a tavola le pietanze vengono programmaticamente messi a nudo: da Master chef a Quattro ristoranti, passando per i piu’ goliardici Cucine da incubo e Camionisti in trattoria, non si contano i format su questa falsariga che hanno avuto un immenso successo in numerosi paesi europei (e proprio la Gran Bretagna, da cui proviene il film in questione, è stata uno dei pionieri del settore). Nondimeno, “bollono in pentola” non poche sorprese in questi 94 minuti di ininterrotto piano sequenza sfornati dal giovane regista inglese Philip Barantini, con un passato da attore e qui al suo secondo lungometraggio.

L’utilizzo di un solo “take” è ormai una tecnica non certo innovativa, ampiamente sfruttata in tutta una serie di lavori con presupposti molti diversi tra loro. In questo caso è però estremamente funzionale ed efficace per seguire i passi tesi e nevrotici dei tanti personaggi di una tragicommedia corale negli spazi sempre più claustrofobici di un ristorante fashion di East London, tra l’ingresso, le sale, la cucina e il retrobottega (a prestarsi – molto bene – come naturale scenografia è il vero locale in stile industrial chic “Jones & Sons”, nel quartiere hipster di Dalston). Il girato copre, in tempo reale, buona parte di una serata di lavoro particolarmente problematica e faticosa: Barantini aveva optato per lo stesso formato in un cortometraggio del 2019 che, di fatto, era un teaser di Boiling Point, con lo stesso protagonista e la stessa ambientazione. Va da sé che un simile soggetto cattura perfettamente lo spirito dei nostri tempi in cui la ristorazione è un settore popolare come non mai, complici i programmi televisivi di cui sopra, il proliferare dei food blogger e dei food influencer, la passione per la cucina gourmet e i vini pregiati: tutti elementi che, peraltro, non mancano di essere pacatamente satireggiati, davvero con molto sense of humour all’inglese, nel corso del film.

Neanche fossimo l’ispettore impegnato in un controllo a sorpresa all’inizio della serata al ristorante (controllo che si rivelerà la premonizione di una catastrofe annunciata, con una catena di inconvenienti sempre piu’ gravi nella modalità dell’effetto domino), abbiamo l’opportunità di scrutare nel dettaglio ogni ingranaggio coinvolto nel funzionamento dell’intricata macchina della ristorazione. Se nel corto del 2019 la macchina da presa pedinava soltanto lo chef Andy, una volta diluita la trama da 20 minuti a un’ora e mezza non si può fare a meno di cambiare focus, facendo passare la staffetta dal lavapiatti alla manager, dalla cameriera al barman. Lo stesso regista si è detto affascinato dalla varia umanità che popola i ristoranti, non solo ai tavoli, ma anche e soprattutto negli angoli seminascosti di cucine che solo parzialmente sono “a vista” com’è di moda oggi, e in Boiling Point quest’umanità c’è tutta, ben orchestrata e ottimamente interpretata da bravi caratteristi (si è meritata una menzione a Karlovy Vary Vinette Robinson nel ruolo della volitiva e suscettibile vice-chef). Ognuno di loro, peraltro, ha la sua parlata e il suo gustoso accento, delle isole britanniche o straniero, il che implicherà inevitabilmente una perdita se il film, com’è probabile che succeda vista la sua tematica di interesse generale, in futuro sarà distribuito in versioni doppiate al di fuori dei paesi anglofoni.

Il centro di tutto, ad ogni modo, rimane il protagonista Andy, interpretato dall’impagabile Stephen Graham che gli dà voce con un’altrettanto impagabile parlata scozzese. Il nevrotico Andy e il suo alter ego narcisista, ex partner di lavoro e ambiguo rivale Alistair sono due facce della stessa medaglia che strizzano entrambe l’occhio a una figura ormai entrata nell’immaginario collettivo come Gordon Ramsay, vero padre fondatore della categoria degli chef stellati/star che ormai, in tutta Europa, possono competere con attori e cantanti in quanto a celebrità e popolarità su ogni tipo di medium o piattaforma.

Ma, dietro le stelle Michelin, l’immacolata divisa da chef e gli impeccabili impiattamenti dal tocco artistico, covano nevrosi che non tarderanno a trasformare la commedia di costume in dramma su quella piaga che è il burning out, o esaurimento nervoso da lavoro che dir si voglia. Nel corso di tutto il film, Andy, in misura ancora maggiore rispetto agli altri personaggi, è per l’appunto il contenuto in ebollizione di una pentola sempre sul punto di esplodere, e la proverbiale goccia che fa traboccare… la pentola non tarderà ad arrivare. E la sua condizione di stakhanovista stressato, schiacciato dalle aspettative altrui e da responsabilità fuori dalla sua portata potrebbe tranquillamente essere traslata anche ad altri mestieri. Come che sia, terminata la visione di Boiling Point sarà molto piu’ facile metterci nei panni di chi sta ai fornelli o dietro al bancone – e, di conseguenza, ci penseremo due volte prima di lamentarci indispettiti o attribuire mezza stella su Trip Advisor quando un antipasto arriva al tavolo con qualche minuto di ritardo, una bistecca è troppo cotta o un cameriere sbaglia a farci lo scontrino.