Sceneggiatore di punta del cinema francese popolare degli ultimi vent’anni, con Frères ennemis (Close enemies) – presentato in Concorso – David Oelhoffen firma il suo terzo lungometraggio in veste di regista, un poliziesco a tinte fosche ambientato nelle banlieue che, dopo una partenza in quarta si accartoccia irrimediabilmente su se stesso nella corsa contro il tempo per tirare le sue numerose fila.
Con la scarcerazione dell’ultimo membro della sua banda, lo spacciatore Manuel – Matthias Schoenaerts – può finalmente mettere a segno il colpo definitivo. Durante il trasporto del carico di droga però una moto si avvicina alla sua auto e apre il fuoco, uccidendo due compagni e sottraendogli la merce. Con l’aiuto dell’amico d’infanzia e agente della narcotici Driss – Reda Kateb, già coprotagonista nel precedente Loin des hommes (2014) –, Manuel si darà alla macchia per stanare e uccidere chi l’ha tradito.
Forte dell’esperienza di scrittura al fianco di Frédéric Tellier per L’Affaire Sk1 (2014), Oelhoffen si cimenta con cognizione di causa in un genere completamente diverso rispetto al dramma storico che aveva segnato l’inizio del sodalizio con Kateb, senza però rinunciare ai temi della ricerca di identità e appartenenza al gruppo, consistente questa volta in un contesto sociale più circoscritto ma altrettanto feroce, quello dei sobborghi. Una ricerca segnalata anche dalla ricercatezza delle soluzioni stilistiche – che conferiscono anche un certo lirismo alla periferia –, con piani sequenza e over the shoulder a focale corta che mostrano Manuel sempre all’interno del gruppo o abbracciato dalla cinepresa, mentre Driss si trova spesso isolato all’interno dei quadri.
Appartenenti allo stesso background, nella vita Manuel e Driss hanno imboccato strade opposte ma convergenti, secondo una norma cristallizzatasi con pellicole entrate nel canone come A better tomorrow (1986), tanto per citarne una: il primo la droga la vende e il secondo la sequestra, ma condividono entrambi la stessa assiologia.Continuando a giocare secondo le regole, abbiamo quindi l’affare per sistemarsi a vita finito male a causa di una defezione interna, che funge da innesco per la componente revenge. Ecco però che qui Frères ennemis si impantana, rivelando l’imperizia dell’autore non tanto nel tratteggiare la cornice criminale quanto nel rendere avvincente la progressiva presa di coscienza di Manuel, risalendo la catena di comando fino ad arrivare al prevedibile colpevole. Pur pareggiando adeguatamente i punti di vista, quello del poliziotto “flessibile” e quello del delinquente “morale”, Oelhoffen non riesce a caricare di tensione l’indagine, proponendo tutt’al più una ripetitiva serie di interrogatori, spedizioni punitive e conversazioni in auto, che non sfruttano appieno le capacità degli interpreti. Con storie di questo tipo è risaputo che gli sviluppi sono già scritti: il discrimine sta nella capacità dello sceneggiatore – e dato il bagaglio di Oelhoffen non ce lo aspettavamo – di organizzare l’intreccio in modo da far risalire continuamente l’acqua alla gola, evitando di fornire un quadro troppo chiaro a chi guarda.
Frères ennemis è molto articolato, forse troppo, quasi pignolo per quanto concerne le indicazioni di cui i protagonisti e gli spettatori beneficiano, sicché l’architettura appare in trasparenza prestissimo. Sul piano teorico gli elementi ci sono tutti, ma è un guscio vuoto.