William Tell ha un passato tormentato che lo ha portato in prigione. Ora sbarca il lunario giocando a poker e blackjack. Grazie alla sua abilità nel contare le carte riesce a vincere quanto basta per campare senza attirare l’attenzione dei casinò. La sua vita controllata e sotto traccia cambia quando incontra Cirk, un giovane che conosce il suo passato e che medita vendetta contro una loro comune conoscenza.

Schrader torna alla Mostra del Cinema dopo First Reformede lo fa con un altro film che parla di colpa ed espiazione – sia personale che di un’intera nazione. Il protagonista, William, sembra uscito da un film di Clint Eastwood: è taciturno, ha un forte senso etico – in reazione al suo turbolento passato – e preferisce non attirare l’attenzione. La sua psiche, le sue emozioni sono trattenute, nascoste, controllate: questo gli ha permesso di avere successo nel suo precedente lavoro, questo gli permette di avere successo al tavolo verde.

Le emozioni, tuttavia, non scompaiono: sono pronte a riemergere con violenza quando occorre, come un fiume carsico che trova brevemente la strada della superficie. Scavare nel passato di William è scavare nella sua psiche, nei ricordi di un male indicibile che ha macchiato la sua anima e quella di tutti gli Stati Uniti.

Schrader racconta infatti la storia di William per raccontare la necessità di espiazione – anziché di rimozione (un tema che condivide con un altro film in concorso a Venezia 78, Madres Parallelas) – della storia recente degli USA, facendo del suo protagonista il nuovo Travis Bickle, incarnazione delle storture di società che però, a differenza della società, è cosciente dei suoi errori e della necessità di fare ammenda. Come Bickle, William intravede una possibilità in un giovane, Cirk, cui cerca di evitare la vita di sofferenza e vendetta cui sembra volersi dedicare. Restituire una speranza a Cirk diventa l’obiettivo di William, ciò che lo spinge a uscire dall’anonimato e a puntare in alto, sul tavolo verde e nella vita.

Schrader dirige il film con piglio quasi documentaristico, con immagini secche e asciutte in cui però ogni tanto fanno capolino scene evocative e quasi oniriche, simbolo di una bellezza effimera capace di spuntare anche nel marciume del mondo. La sceneggiatura è a tratti ondivaga ma solida, e si avvale della splendida interpretazione di Oscar Isaac, semplicemente perfetto nella parte e capace di restituire sia l’empatia, sia il lato oscuro del suo personaggio, ambedue nascosti sotto una patina di apparente ieraticità.

Il collezionista di carte è un film difficile da inquadrare, che cambia continuamente direzione, (in)seguendo la tormentata psiche del protagonista. Il risultato è a volte straniante e imperfetto, ma di grande impatto, e impone allo spettatore riflessioni sulle responsabilità individuali e collettive.