Dopo Jackie Pablo Larraín torna a immaginare la vita di una forte personalità femminile, al di là di muri e porte chiuse a fare da custodi o prigione.
Spencer è il cognome della principessa Diana, ribattezzata la principessa triste, scomparsa in un incidente d’auto del 1997, elevata dal popolo e dalla stampa, che l’ha perseguitata, a icona di libertà e ribellione.

Scritto da Steven Knight, Spencer si concentra su un episodio della vita di Diana (Kirsten Stewart) per raccontare, come anticipato ancora prima dei titoli di testa, una “favola tratta da una tragedia vera”.
Ed è qui che regia e sceneggiatura commettono il primo errore, che poi è quello che fanno in molti: provare a trasformare in “una favola” la vita di Diana Spencer.

Diana e il marito, il principe Carlo, sono ai ferri corri. È la vigilia di Natale, e come tradizione vuole, la famiglia reale inglese lo trascorre nella residenza di Sandrigham. Sono trascorsi dieci anni da quando Diana è diventata un membro della corona, consorte del futuro re.
La favola di cristallo di una giovane donna si è infranta a contatto con la realtà, etichette, cerimoniali, paparazzi in ogni dove.
Come ogni anno, ogni cosa è organizzata e programmata “come se tutto fosse già successo” e Diana non riesce a essere due persone – quella per le foto e quella vera – per il bene del Paese, non accetta di essere considerata merce di scambio”.

La sceneggiatura di Knight e la regia di Larraín ambientano la loro storia nel Natale del 1994 (l’anno dopo Diana e Carlo si separeranno) e si mettono a raccontare la vita di una donna servendosi degli strumenti del cinema.
Ma se nella drammaturgia di Jackie (scritto da Noah Oppenheim), attraverso la cronaca e la ricostruzione di discorsi immaginati, Larraín era riuscito a sfumare i sentimenti e plasmare la realtà a immagine e somiglianza del Cinema e del “Mito”, qui la stessa operazione fallisce.

La cronaca di allora continua ad essere raccontata in varie, troppe, forme: da romanzi, biografie non autorizzate, gossip film per la tv e per il cinema, serie televisive.
Sarà poi che la celebre serie televisiva The Crown (disponibile su Netflix), sulla vita della Regina Elisabetta II, in questi due anni sta raccontando proprio quegli anni (di Carlo e Diana) in modo sobrio, impeccabile, pulito; sarà che si continua a parlare e vedere filmati su Diana (ripetiamo),…

Spencer, nel colmare il non detto e colorare gli spazi bianchi, cioè quei momenti, ed episodi, vissuti privatamente, declina il paradigma di una principessa vulnerabile e fragile su instabilità (fisica ed emotiva) e capricci, più che su un’analisi intima, destrutturata dei sentimenti della protagonista.

Non riesce a essere il film che vorrebbe. Idealizza senza poterlo fare, o permetterselo.
Ci sono le ragioni della Corona e le ragioni di una donna che vuole essere libera di crescere (sé stessa) e allevare i suoi figli fuori dagli schemi del palazzo. Ma nel mezzo c’è un sovraccarico di invenzioni e speculazioni che infastidiscono (i dialoghi con le dame di compagnia e lo chef sono insopportabili!).
Spencer è la storia noir di una principessa in cerca o in attesa di un miracolo.
A cercare di cogliere e trasmettere la complessità interiore di Diana non aiuta di certo l’interpretazione, o meglio imitazione tremenda e irritante della Stewart.
Tutto il resto, scenografia, musica, costumi non riesce a risaltare un film che non convince.