Sotto la pensilina di una stazione di periferia, in una notte bagnata, un uomo aspetta qualcuno. È ferito, braccato. Sulla sua testa una taglia, sulla sua vita un’ipoteca difficile da riscattare. Gli sbirri gli sono alle costole, la banda rivale vuole vendetta e i soldi offerti per la sua cattura fanno gola a molti. Anche agli amici. Quando all’appuntamento si presenta una ragazza sconosciuta, Zhou Zenong dovrà decidere se fidarsi di lei. Fino alla fine.

Il lago delle oche selvatiche, in concorso al Festival di Cannes 2019, non è solo il poetico titolo dell’ultimo film di Diao Ynan, già regista dello splendido Fuochi d’artificio in pieno giorno (vincitore dell’Orso d’Oro alla Berlinale 2014), ma il luogo cinematografico dove realismo ed espressionismo si incontrano e contaminano, dove l’omaggio al cinema noir classico confluisce nel racconto di un mondo tanto contemporaneo quanto fuori dal tempo. Lo sfondo non è la Cina delle immense città, del miracolo economico perpetuo, dello sviluppo a oltranza: la fuga del protagonista avviene tra territori lasciati indietro, comunità dimenticate, sul confine di una frontiera quasi rurale che sta per scomparire fagocitata da metropoli sempre più estese.

Zhou Zenong si muove nelle periferie, cresce, delinque e fugge in un contesto suburbano, dove criminalità e polizia nascondono origini comuni e condividono le stesse (nulle) ambizioni. Una guerra tra mediocri ambientata nella “Città dei cento laghi”, quella Wuhan oggi più tristemente conosciuta come epicentro della diffusione del Coronavirus. Ma lì dove vita e morte si realizzano tra condomìni fatiscenti, bettole unte e strade semideserte, il rigoroso regista Diao Ynan costruisce un film esteticamente elegante, raffinato nella composizione delle inquadrature e perfettamente capace di coniugare una storia semplice ma intricata con uno stile personale e una fotografia dalle pennellate fluorescenti che lascia il segno.

È la quotidianità a nascondere (e rivelare) lo Jianghu, un sottobosco criminale di periferia, ormai perfettamente integrato in un tessuto sociale che mira alla sopravvivenza e che non può permettersi di pensare a molto altro. All’isolamento, all’anonimato e all’inevitabile oblio sono condannati in partenza i due protagonisti: l’Antieroe, galeotto, ladro di motorini, ammazza poliziotti per caso e la Bagnante, prostituta sfruttata e umiliata quotidianamente che porta con sé forse l’unica, piccola, chance di redenzione.

In questa periferia dell’anima, dove la purezza delle immagini viene sistematicamente corrotta da improvvise esplosioni di violenza (anche sanguinaria), la società patriarcale ha fallito e continua a fallire, replicando all’infinito la propria ottusità. Inseguitori e inseguiti giocano inconsapevolmente la stessa partita senza speranza e noi assistiamo impotenti e affascinati a questa triste giostra grazie al talento narrativo e visivo di Diao Ynan, maestro nel creare suspanse da situazioni banali, anche grazie a un calibrato uso del montaggio e alla sapiente contrapposizione tra dettagli e inquadrature larghe.

Ma non esiste noir senza uno spiraglio di luce. In questo caso, più che altro, un bagliore sussurrato che contrasta – ancora una volta – con le fluorescenti dominanti cromatiche di molte, memorabili scene di Il lago delle oche selvatiche. Quella speranza, flebile e tutt’altro che scontata fino alla fine, appartiene all’universo femminile, privo di femme fatale e incantatrici, ma resiliente e, forse, persino in grado di restituire un riflesso di dignità a un mondo fatto di uomini pavidi e deboli.

Regia: Ynan Diao

Titolo originale: Wild goose lake
Nazionalità: Cina
Anno di prod.:
 2018
Durata: 111 min.
Genere: Drammatico
Cast: Ge Hu, Tang Wei, Fan Liao