La fiaba nera di Basile arriva al Teatro di Villa dei Leoni di Mira nell’affascinante versione di Emma Dante, in un’umido Giovedì grasso. Debuttato al sessantesimo Festival di Spoleto nel 2017, prende a soggetto la decima novella della prima giornata de Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile. Già Roberto De Simone pescò nel Cunto per La gatta Cenerentola nel lontano 1976 e, in tempi più recenti, Matteo Garrone per l’episodio dell’omonimo film. Le decrepite Carulina e Rusinella vivono recluse in casa. La solitudine le ha abbruttite e i giorni scorrono monotoni tra mal celata antipatia e inevitabile affetto. Il re s’innamora della voce d’una delle due, da cui avrà prima solo il dito mignolo, a lungo levigato affinché passi attraverso la serratura, e poi il corpo grinzoso. Scoperto l’orrore, il sovrano la defenestra. Rimasta impigliata tra i rami, una fata le donerà l’eterna giovinezza e le nozze regali, mentre all’altra, invidiosa, non rimarrà che la scorticatura.
Il fascino della lingua
La scortecata di Emma Dante ci ricorda come non esista solo il volgare dell’Alighieri, il veneziano del Goldoni o il bizantinismo del Vate, bensì anche il napoletano antico di Basile, lingua pregna di musicalità ed efficacia semantica. Seppur non nata per la scena, la novella rivela tutta la sua squisita teatralità in questa nuova veste drammaturgica, in cui nulla si perde in termini di lessico e d’intreccio. Carmine Maringola e Salvatore D’Onofrio, impegnati come nella tradizione classica a interpretare ruoli femminili, saltano da un personaggio all’altro senza soluzione di continuità. Ora sorella, ora re, ora fata, uno scambio fluido teso e spiritoso, grazie anche alla perfetta partitura registica. Fin da subito, i corpi possenti stridono con l’idea di vecchiaia, così come le vesti lise che indossano, in un controsenso grottesco, antinomico, che ben si confà alla fiaba. La scelta delle musiche, da Reginella a Comme facette mammeta, passando per Mambo italiano, rafforza questo senso di straniamento.
La parte per il tutto e la morale antica
Fondale e quinte rigorosamente neri, come piace a Dante. Al centro un castello giocattolo, ai lati due piccole seggiulelle, distesa sulla ribalta ‘a porta. In fondo un grande baule verde. Una scenografia minima, degna di un fare teatro antico, che vive di bagliori magici grazie al light design di Cristian Zucaro. Nelle luci calde e fredde che accompagnano l’azione, pare rivedere l’oscurità illuminata della pittura del Caravaggio e del barocco napoletano.
La morale de La scortecata va citata interamente per la bellezza con cui Emma Dante l’esprime: “il maledetto vizio delle femmine di apparire belle le riduce a tali eccessi che, per indorare la cornice della fronte, guastano il quadro della faccia; per sbiancare le pellecchie della carne rovinano le ossa dei denti e per dare luce alle membra coprono d’ombre la vista. Ma, se merita biasimo una fanciulla che troppo vana si da a queste civetterie, quanto è più degna di castigo una vecchia che, volendo competere con le figliole, si causa l’allucco della gente e la rovina di sé stessa”.
Luca Benvenuti