La Traviata alla Fenice, un classico intramontabile

Il Teatro La Fenice di Venezia propone fino al 3 novembre La Traviata nell’ormai storico allestimento di Robert Carsen, entrato da tempo in repertorio. L’impressione avuta alla replica del 26 ottobre è di trovarsi non a una recita routiniera, ma a un vero debutto. Tutto è stato rivisto, ristudiato e reso meglio del solito da parte dei cantanti, del coro, dell’orchestra e dei tecnici.

Rimaniamo convinti si tratti di uno spettacolo geniale sotto ogni aspetto che non stanca mai di farsi (ri)vedere. Nella meditazione sul denaro come cemento dell’azione, perché da sempre “money makes the world go round”, Violetta è una sfinge che conta i danari guadagnati sul letto. L’incontro con Germont avviene in una foresta ove le banconote volteggiano come foglie morte. Altra conferma di questa venalità imperante la si trova nell’erotismo comprato chez Bervoix, dove cowgirls in perizoma (per la gioia dell’attempato spettatore davanti a noi che se le gusta col binocolo) e cowboys in chaps sostituiscono zingarelle e matadores. All’ultimo atto, quando nella stanza rimangono solo una televisione rotta, simbolo di una realtà effimera e deformante, e un’impalcatura, Carsen ci regala due piccoli gesti utili a descrivere l’umanità ipocrita di cui si circonda la mondana: il dottor Grenvil che riscuote l’onorario dell’ultima visita e la fuga di Annina con la pelliccia della padrona.
Il light design curato da Carsen e da Peter Van Praet ammanta le scene di Patrick Kinmonth, dalle diverse tonalità di verde, nero e rosso, di luci cupe e confondenti in un progressivo mancar di forze.

Sul versante musicale, Zuzana Marková ci convince con una Violetta piacente e dai capelli lunghissimi, quasi una Maddalena, analizzata in ogni minimo dettaglio con gesti decisi e sempre opportuni. Marková si trova a suo agio nel secondo e terzo atto, dove la voce rivela una chiara predisposizione al drammatico. Fraseggio vario, ottima tenuta dell’intonazione, Marková regala dei bellissimi piani in Dite alla giovine, un sofferto Addio del passato e un carismatico Gran Dio! Morir si giovane.

Airam Hernández nei panni di Alfredo è una piacevole scoperta. Non il solito bamboccione, ma un amante sanguigno, virile, scevro da languidi romanticismi. La voce è pulitissima, intonata, calda nei centri. Germont può contare sull’esperienza di Vladimir Stoyanov, interprete sicuro e preciso. William Corrò è barone ipervirile dalla voce sempre chiara e imperiosa. Puntuale l’Obigny di Matteo Ferrara come il Grenvil di Luciano Leoni. Flora corretta quella di Elisabetta Martorana. Completano il cast Sabrina Vianello come Annina e Enrico Iviglia, Gastone.

Il Coro, preparato da Claudio Marino Moretti, è in splendida forma.

Stefano Ranzani dirige l’Orchestra con grande ispirazione, in costante dialogo con il palco. Il suono è pulito, ottime le dinamiche e i tempi scelti in una fluidità che ben si confà al precipitare degli eventi.

Sala piena e applausi convinti per Marková, Hernández e Stoyanov.

Luca Benvenuti

Credits Fabio Barettin