Uno dei primi film originali Netflix ad approdare sulla piattaforma nel 2018 è l’horror The Open House, scritto e diretto dagli esordienti Matt Angel (attore alla sua prima esperienza dietro alla macchina da presa) e Suzanne Coote, disponibile in streaming dal 19 gennaio. Protagonista del film è un giovane attore che a Netflix deve già il primo revival della sua breve carriera, l’ex attore bambino Dylan Minnette, l’anno scorso tra gli interpreti principali della seguitissima serie Tredici.

The Open House racconta la storia di Logan (Minnette) e della madre Naomi (Piercey Dalton), costretti a trasferirsi fuori città quando il padre del protagonista muore tragicamente investito da un’auto. Ospiti in una spaziosissima casa di design di proprietà della sorella di Naomi, i due decidono di aprire la splendida abitazione al pubblico (appunto la open house del titolo) per arrotondare le entrate. All’angoscia della continua presenza di estranei in casa si sommeranno una serie di inquietanti eventi e presagi via via sempre più disturbanti che turberanno la permanenza dei due protagonisti.

A guardare i diversi trailer del film rilasciati da Netflix nei mesi scorsi, The Open House sembrerebbe essere il più classico dei film horror, tra suspance jumpscares tipici dei vari film dell’orrore “imbastarditi” col genere thriller che da anni affollano le sale cinematografiche di tutto il mondo. Il problema principale della pellicola tuttavia è che queste aspettative (già di per sé non altissime) vengono bellamente disattese: gli elementi del genere horror infatti sono pressoché assenti o si limitano a un paio di morti truculente (ma neanche tanto) concentrate nelle ultimissime scene del finale. Per tutta la rimanente ora e mezza di durata non fanno che susseguirsi scene di crescente tensione che si esauriscono quasi sempre in un falso allarme, tra l’altro senza mai chiarire fino in fondo il motivo degli eventi paranormali che tormentano i due protagonisti nella loro gigantesca abitazione.

Eppure un paio di idee originali a livello di sceneggiatura saltano anche fuori: all’inizio del film, per esempio, gli autori ci tengono a ricordarci a più riprese della pesante miopia che affligge il protagonista, come se volessero rendere questo particolare un elemento principale del film, offuscando il P.O.V. di Logan ogni volta che questo non porta gli occhiali e aumentando così la suspance per gli spettatori. Questo espediente tuttavia verrà usato non più di un paio di volte in tutto il film, e quella della miopia diventa poco più che una scusa per far provare un nuovo look al giovane attore. Oltre a esibire un paio di occhialetti da tecnico informatico Minnette (che comunque in Tredici aveva dimostrato di non essere poi un cattivo interprete) non sembra fare molto altro nel film, con una performance da sei meno che di certo non aggiunge nulla a un personaggio già di per sé molto piatto.

The Open House resta quindi un thriller ai limiti del basilare mascherato da horror, che difficilmente entrerà nell’olimpo dei migliori Netflix orginals ma che può andar bene per riempire una distratta e annoiata movie night a casa in pantofole, anche per merito di una durata contenuta (poco più di un’ora e mezza) e per una certa scorrevolezza che gli va riconosciuta.