La giovane artista argentina Nelda Ramos, astro nascente dell’ambiente artistico latino americano, ha realizzato ieri pomeriggio, all’interno della “Venice Performance Art Week” la performance “Es copia fiel – This is a true and exact copy”.
Palazzo Bembo ospita da qualche giorno l’esposizione dedicata alle recenti pratiche performative. Ogni sera alle sette, al secondo piano del palazzo veneziano, vengono realizzate delle live performances con artisti emergenti internazionali. Ieri sera Nelda Ramos ha dimostrato il proprio talento, trasformando una comune stanza in un luogo di intimo raccoglimento. La differenza tra una performance registrata e fruita attraverso uno schermo televisivo e una performance percepita dal vivo è notevole. Nel secondo caso l’atmosfera del luogo designato come palcoscenico dell’evento si carica di tensione, il pubblico reagisce simultaneamente alle azioni dell’artista/performer, ogni movimento è seguito con attenzione e preceduto da una serie di aspettative che elettrizzano l’atmosfera.
Nelda Ramos è riuscita a creare questa alchimia dell’evento, l’artista si è trasformata in mago capace di comunicare con lo spettatore attraverso semplici gesti e solenni silenzi, maneggiando durante l’azione ampolle e pagliuzze dorate. Ma questa arte “magica” non si occupa di metafisica e pietre filosofali, bensì fa riferimento alla dimensione terrena e alla vita quotidiana, soprattutto da un punto di vista femminile. Il rituale nel quale veniamo tutti coinvolti richiama infatti un percorso doloroso e personale vissuto dall’artista, una sofferenza che in chiave femminile si tramuta in un evento da partager, da condividere in una silenziosa cerimonia.
È chiaro che l’artista ricerca costantemente questo contatto con il pubblico, coinvolgendolo fin dai primi attimi nell’azione, da quando la Ramos passeggia tra gli ospiti per creare il primo momento di contatto, questa volta fisico, attraverso lo scambio intimo di un piccolo oggetto. Durante lo svolgimento della performance l’artista si tramuta in alchimista che plasma la materia, ma in questo caso si tratta del corpo stesso della Ramos, di una parte di se stessa che è stata precedentemente prelevata e che lei manipola sotto i nostri occhi. Ciò che si osserva è un’esperienza di vita, un dolore che non ha più niente di fisico, ma resta a livello emotivo. L’esposizione materica della sofferenza in questo caso agisce da cura, la condivisione è l’antidoto prescelto. È per questo che il dono finale, un pezzo del corpo dell’artista trasformato durante questo rito collettivo, rappresenta una sorta di amuleto in grado di proteggerci.