“HOMO RIDENS” DI TEATRO SOTTERRANEO

Homo homini lupus ridens

“Chi ride attua una momentanea anestesia del cuore. L’uomo è l’unico animale che ride: per farlo soffre, ferma il respiro”. Emula il soffocamento.

Partiamo da qui per parlare di Homo Ridens di Teatro Sotterraneo, visto a Vigonovo (Venezia) per Paesaggio con Uomini: la risata ha un collegamento sottile con la sofferenza.

Nemmeno troppo sottile, suggeriscono il dramaturg Daniele Villa e i performer Sara Bonaventura, Iacopo Braca, Matteo Ceccarelli e Claudio Cirri, collettivamente autori del lavoro. Anzi. Non solo per ridere si soffre, ma la sofferenza stessa (quella degli altri, ovviamente) diventa oggetto di risata. E – passo ulteriore – si ride del dolore degli altri mentre lo si vede eseguito, mentre si assiste ad un atto di violenza: si risveglia qualcosa di sadico, quell’homo homini lupus che non solo tende all’annientamento dell’altro, ma di questo annientamento gode.

Un presupposto becero, che fa male, che vorremmo rifiutare seduti in platea, mentre assistiamo ai continui “stimoli risori”, come li chiamano loro, ai quali siamo sottoposti in quanto campione dell’esperimento scientifico in corso.

Il vero tema di Homo Ridens è la violenza. Teatro Sotterraneo ci sottopone a un test che misurerà la nostra capacità di ridere, dichiarano, ma in realtà quello che qui si misura è la nostra resistenza alla violenza. Sono intrise di violenza tutte le prove a cui siamo sottoposti: ce ne riempiamo gli occhi alla visione dei cadaveri di Bergen Belsen, della mano mozzata sotto le macerie delle torri gemelle, della carestia in Sudan – icone sacre dell’intoccabile: eppure loro le toccano, anzi, le sventrano; c’è violenza – del tipo autolesionistico – nel maldestro tentativo di suicidio di Sara; c’è violenza – violenza di gruppo – nel ripetuto picchiare Matteo; c’è violenza nello sparo omicida contro Claudio; c’è violenza anche su Gesù, che i Vangeli mai riferiscono ridere: e allora i TS lo violentano con il gas esilarante, e finisce a ridere come una bertuccia, nel modo più evoluzionistico possibile – e la rivincita dell’uomo sul dio è segnata. C’è violenza anche nella voce di Sara, che urla “è tutto finto”, ed è una violenza contro il pubblico, che viene richiamato prepotentemente alla realtà: non-vi-illudete-che-qui-ci-possa-essere-la-leggerezza-della-finzione.

C’è una violenza – sempre – reiterata: è questa la chiave che fa iniziare prima a sorridere, poi a ridere, poi forse a sganasciarsi. Dipende dal pubblico, da quanta resistenza pone. Hanno trovato pubblici diversissimi, spiega Daniele Villa: “Talvolta il gelo totale, talvolta risate continue, persino nei momenti in cui ci serviva serietà”.

E allora, chissà come o perché, si ride: ma si ride dell’assurdità delle situazioni (e che cavolo, se ti devi suicidare impara a farlo bene quel cappio!), oppure si ride assecondando inconsciamente quel gusto sadico del lupus di cui sopra? E qui scatta la contraddizione, il disagio, il malessere. Qui inizia il mal di pancia che non si spiega, la sedia è troppo piccola, l’aria non basta: la risata soffoca, ricordiamolo.

Teatro Sotterraneo prosegue con Homo Ridens il suo teatro delle domande, che lascia al pubblico le risposte, e si pone come feroce soggetto di stimolo al pensiero. Feroce, perché ci fa male. Perché se l’imperativo morale è sempre dichiaratamente assente nei suoi lavori, Teatro Sotterraneo sottende a una logica costante che è essa stessa emergenza morale e culturale del gruppo: risvegliare la contraddizione, far leva sul senso di straniamento non per spersonalizzare, ma per ri-umanizzare il pensiero, puntare gli occhi sull’assurdo che governa indisturbato. Emergenza che si ritrova nelle tematiche, ma soprattutto nel rigore del loro linguaggio espressivo, perla preziosa del gruppo e – poiché lo sanno – da loro preziosamente custodita di lavoro in lavoro.

E a tal proposito, una scelta stilistica vale la pena di evidenziarla: e cioè il coraggio di non portare mai in scena dei personaggi “altri”, ma sempre e comunque Sara, Claudio, Iacopo, Matteo. Sempre con il loro nome a vivere vite diverse sul palco, sempre a ricordare a tutti che se stanno cercando la consolatoria favola della quarta parete, beh, quella non c’è più. Freddi, asettici, distanti: sempre. Non ti chiamano a sé neanche quando si rivolgono (e lo fanno spesso) al pubblico, non offrono nulla (o quasi) con cui entrare in empatia: sei tu che devi aderire a loro. E in mezzo non c’è alcuna storiella consolatoria. È una sfida coraggiosissima e contemporaneamente è la vera forza di Teatro Sotterraneo.

Si va a vedere Homo Ridens pensando di ridere; si esce da Homo Ridens domandandosi con che coraggio si è potuto ridere, oppure certi di sapere perché non si è riusciti a ridere. La grandezza di questo lavoro è tutta qui: lavora sui fianchi; sceglie punti di vista laterali; affronta il tema con argomenti imprevisti, talvolta scioccanti e perciò rifiutabili; ribalta persino il significato stesso del concetto di risata, legando ad esso montagne di dolore.

Per insinuare tunnel, autostrade, tutte sotterranee, di benefico malessere.

Homo Ridens
creazione collettiva Teatro Sotterraneo; in scena Sara Bonaventura, Iacopo Braca, Matteo Ceccarelli, Claudio Cirri; scrittura Daniele Villa
consulenza costumi Laura Dondoli, Sofia Vannini; locandina Rojna Bagheri
grafica Marco Smacchia
produzione Teatro Sotterraneo; coproduzione Armunia, Centrale Fies col sostegno di Comune di Firenze – Assessorato alla Cultura e alla Contemporaneità, Le Murate, Suc (Spazi Urbani Contemporanei); in collaborazione con Santarcangelo 41
Teatro Sotterraneo fa parte del progetto Fies Factory
www.teatrosotterraneo.it
www.echidnacultura.it