“Diana Vreeland – L’imperatrice della moda” di Lisa Immordino Vreeland, Frédéric Tcheng, Bent-Jorgen Perlmut

Such a wow!

Venezia 68. Fuori Concorso
“Detesto la nostalgia. Non credo a niente prima della penicellina”

Il ventesimo secolo è stato pieno di icone, di donne che con lungimiranza hanno dato una direzione allo stile. Diana Vreeland (1903-1989) è stata tra quelle.
Non nella creazione, ma nella decifrazione di un mondo che stava esplodendo di simboli, che si stava caricando di stimoli, che prendeva riferimenti e sapori dagli angoli più disparati. Per cinquant’anni la corona di come “Imperatrice della moda“ era ben salda sulla sua testa, e dalla scrivania delle sue redazioni ha dato alle donne quello che ancora non sapevano di volere, folgorando il mondo e i lettori con una visione unica e portando alla ribalta nomi che hanno fatto storia. Da Harper’s Bazaar a Vogue al Costume Institute of the Metropolitan Museum of Art.

Si presenta in una maniera insolita, stravagante e spiazzante, la superba Diana Vreeland. Al suo intervistatore che le chiede come si può diventare Vreeland, lei risponde, con quel twist che solo poche menti hanno “beh, prima di tutto, caro, bisogna arrangiare qualcosa per poter nascere a Parigi”.
La visione di una mente potente e al potere, che ha cambiato completamente il giornalismo di moda portandolo ai fasti e alle eccentricità più interessanti. Ha donato movimento e ha portato alla ribalta giovani volti diversi, esaltando il difetto a virtù, tirando fuori una personalità abbagliante e vibrante, poderosamente influente.

É lei, che con il suo gusto personale per la diversità che si carica di fascino, ha reso invidiabile Twiggy, ammaliante Barbra Streisand, tribale Cher. Amava il senso che poteva scaturire da una volgarità gestita con criterio, pensata per soddisfare canoni di esotismo e di erotismo leggero. Adoratrice di Harlem e di Josephine Baker, non poteva sopportare l’idea di vivere in un mondo senza “leopardo”. Comprendeva il sottile genio dell’indecenza, del sovvertimento delle proporzioni (solo con una parrucca alta quasi un metro e mezzo le dame francesi potevano affrontare la ghigliottina). Un devozione all’apparenza migliore, alla fantasia più sfrenata che la teneva lontana dai viaggi per paura di rimaner delusa dalla realtà. Se la naturalezza è boring, quello che serve è la costruzione sistematica del sogno, che solo la composizione di un magazine può dare.

Documentario da sfogliare, lavoro che si crea ripercorrendo in maniera molto elegante gli editoriali che hanno fatto la storia, i servizi dei grandi della fotografia di moda, in maniera chiara e piana. Alla composizione dell’inquadratura con gli impaginati, seguono le interviste ai fortunati che l’hanno conosciuta e l’hanno odiata e amata. Tutto punteggiato dalla sua voce adorabilmente impertinente e piena di sagacia (il montato audio proviene dalle registrazioni che lo scrittore George Plimpton fece per la stesura della biografia D.V) o da spezzoni di interviste televisive.

Fact or fiction, mrs.Vreeland? Faction…

Titolo originale: Diana Vreeland: The Eye Has To Travel
Nazione: U.S.A.
Anno: 2011
Genere: Documentario
Durata: 92′
Regia: Lisa Immordino Vreeland, Frédéric Tcheng, Bent-Jorgen Perlmutt

Cast:
Produzione:
Distribuzione: Feltrinelli Real Cinema
Data di uscita: Venezia 2011
06 Dicembre 2012 (cinema)