Si è chiuso ieri a Venezia “Pompei. Il romanzo della cenere”, il 37. Festival Internazionale del Teatro diretto da Romeo Castellucci, iniziato lo scorso 15 settembre. Il festival, ha offerto fino a 9 appuntamenti quotidiani tra spettacoli, apparizioni, installazioni, azioni condensate, performance, conferenze e dialoghi, per un totale oltre 100 eventi.
Come si può capire dal titolo, alquanto significativo per la sua volontà di innovazione rispetto al teatro tradizionale (il nuovo teatro che risorge dalle ceneri di se stesso, probabilmente avrebbe detto Carmelo Bene), “Pompei. Il romanzo della cenere” è stato un Festival davvero particolare e interessante sotto molti aspetti. Innanzitutto è stato il più “democratico” e vivace degli ultimi anni. Castellucci ha infatti adottato un sistema radicalmente nuovo per la selezione degli spettacoli, ovvero tramite la pubblicazione di un bando sul web e quindi accessibile davvero a tutti. A tale selezione ha potuto partecipare qualunque compagnia proveniente da qualsiasi paese, portando a Venezia un’indubbia ventata di novità sullo stato dell’arte a livello internazionale. Sulla scena non si sono esibite solo compagnie già affermate, ma spesso e soprattutto compagnie emergenti con scarsa circuitazione.
Castellucci ha perciò il grande merito di aver riportato la Biennale Teatro alla sua funzione originaria che è quella di guardare al futuro e di osare anche nelle sperimentazioni più innovative. Il teatro di ricerca, troppo spesso censurato a favore della prosa tradizionale nella maggior parte dei circuiti teatrali del nostro paese, e di cui Castelluci è una specie di guru, ha finalmente avuto la possibilità di uscire allo scoperto e di manifestarsi in tutta la sua forza e la sua vitalità. Questa è stata la coraggiosa innovazione del Direttore artistico, assieme alla scelta di aprire il Festival anche ad altre forme d’arte vicine al teatro come: fotografia, performance, video, installazioni, nonché le ottime performance culinarie dello chef Ivan Fantini.
Il bilancio di questo 37. Festival è quindi globalmente positivo, ma è necessario fare qualche osservazione. Questa “democraticità” nella scelta degli spettacoli ha avuto però anche alcuni risvolti negativi, come è facile immaginare: non sempre infatti l’offerta ha raggiunto i livelli qualitativi auspicabili per un Festival di fama internazionale come quello della Biennale di Venezia. Troppo spesso le giovani compagnie si sono concentrate sulla “forma” e poco sulla “sostanza”, vengono in mente ad esempio i britannici Bock & Vincenzi con “L’Altrove” o i francesi Nanaqui con “Chôra. Histoire du pauvre petit Popocatepel”. Ottime invece le performance di danza dell’italiana Maria Donata D’Urso e “Corps 00:00” della Compagnie Greffe di Cindy Van Acker.
Il sospetto è che, nonostante le ottime premesse di democraticità, apertura e innovazione, la scarsa cura nella selezione degli spettacoli, sia dovuta a scelte di ordine economico. Oppure al fattto che il teatro di ricerca sta vivento un momento di “stasi” a livello internazionale. All’alba dell’approvazione di una finanziaria che taglia ancora fondi alla cultura, confidiamo comunque in tempi migliori.
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