Bizzarro Nic Kelman, che studia con Noam Chomsky e scrive un romanzo veloce in cui inserisce ampi riferimenti omerici, sfalsando di continuo i piani della lettura. Scorre fluido, lo stile, nessuna stonatura davvero, col trucco della seconda persona singolare dà del tu al lettore, si prende confidenza l’americano.
Anche con le ragazze, che a loro volta gliene danno perché pagate, o perché minorenni. Chi narra è un uomo senza particolare fascino, non più cinico di altri, mai felice. E’ un dolore sottile che spinge alla ricerca di “carni fresche”, esotiche o meno, un’insoddisfazione che non trova requie e scalpita nei sensi anestetizzati, mai davvero percettivi. E’ una narrazione definita oltreoceano “mozzafiato”, “scabrosa” – oltre ad altri aggettivi di femminile/sta indignazione – che sa nascondere bene quel che vuole davvero: intristire. Girls di Nic Kelman è un libro triste, che racconta di stanchezza e sovraesposizione dell’apparire.
Lacrimae volvuntur inanes si legge a esergo, come anche il sangue e l’eccitazione e il tempo vanno a scorrere vani. “Se rinuncia alla collera, Agamennone ti offrirà doni preziosi” si ammonisce nell’Iliade, e per il denaro si rinuncia a molto altro ancora. Ma la collera resta, e incancrenisce il vivere, non dà tregue e spinge ad agire pericolosamente, a discapito di un impiegato da licenziare, di una ragazzina da illudere, di una prostituta da sfruttare ancora una volta. La morale è carta velina, va a coprire quel che vuole ricalcare e si strappa facilmente. Kelman scrive un libro che può non interessare, ma riesce ad accartocciare un po’ di morale, e quel che viene chiamato cinismo o crudezza non è che realtà da dare per scontata, a tratti anche un po’ banale.
Non è un libro che tratta di “ragazze”, né di rapporti amorosi o sessuali, è uno scivolare cupo lungo membra femminili mai abbastanza audaci, mai abbastanza fresche, che perdono di fascino al primo cedimento organico; è una paura folle della morte, dell’inconsistenza assordante della vita che si conduce, di quel che progressivamente si perde convinti di guadagnare, allora quell’ “odore che hanno solo le ragazzine” corrisponde all’unico possibile balsamo – che svanisce appena applicato.
Quando portare avanti la finzione di una vita intera è talmente pauroso, i sensi vanno aggrediti per spaccare il ghiaccio che li umilia e una “non ancora donna” è più facile da prendere e consumare prima che anche lei pretenda, prima che anche il piacere implichi un lavoro di comprensione. Per subito ricominciare a correre, con la paura che insegue di un passo che obbliga a non fermarsi, “perché la vanità più grande non è credere di poter vincere, ma credere di non aver bisogno di combattere”.
Lain/ Fazi Editore – pagg 203 – 12,50 euro