I DIECI COMANDAMENTI/1

Non nominare il nome di Dio invano. Filosofi ed intellettuali si interrogano sui dieci comandamenti.

Dopo diversi appuntamenti dedicati a temi di argomento teologico Chorus cultura riprende l’attività con un ciclo di conferenze dedicate ai dieci comandamenti nella consueta cornice della chiesa di San Vidal.

La domanda che sorge spontanea fin da subito è: per quale motivo si è sentito l’esigenza di tornare ad interrogarsi (ma si può forse smettere?) su questi temi che paiono davvero così distanti oggi? In questa epoca sempre più secolarizzata nella quale la religione ed in specie i valori cristiani sembrano non riuscire a dare risposte esaustive a che scopo indagare ancora sulla loro portata semantica?
Come esordisce da subito Massimo Donà, a cui è affidato il compito di moderatore, i dieci comandamenti sono ciò che c’è di più disatteso oggi, chi li segue ancora? Tanto che si può ammettere con tranquillità che persino tra le file dei credenti ben pochi li osservino con fedele perseveranza.

Eppure, che li si riconosca come propri o meno, che si condivida e si abbia fede in quella determinata visone religiosa del mondo o meno, essi sono il nostro Nomos, quelle leggi che in una veste secolarizzata si sono insinuate nel nostro inconscio ed definiscono la nostra individualità occidentale.

Da essi non possiamo prescindere quando ci interroghiamo su noi stessi e sulla nostra identità e da essi si deve partire per cercare di comprendere l’attualità in cui viviamo.
In quest’epoca in cui la fede, tra i molti, è relegata ad una tra le tante cose all’interno di una giornata, o meglio di una settimana se si pensa che la messa domenicale è uno dei pochi atti concreti che vengono fatti a testimonianza di essa, oppure relegata ad espediente cui aggrapparsi nei momenti di difficoltà, in quest’epoca appunto in realtà il nome di Dio viene invocato più che in altre. Spesso invano.
Dopo la sua morte Dio è tornato a “vivere” come giustificazione di qualsiasi cosa (gli esempi sono sugli occhi di tutti). Ma che Dio è questo?

Questo primo appuntamento originariamente prevedeva l’intervento di Gabriele Mandel, studioso del Corano e artista dalla poliedrica personalità, e Gianni Vattimo. A sostituire quest’ultimo, che per motivi personali non è potuto esserci, è venuto Giulio Giorello, attualmente docente di Filosofia della Scienza all’Università degli Studi di Milano.
A “scontrarsi” su questo tema due prospettive completamente diverse, almeno nei loro presupposti. L’uno è un mistico islamico, l’altro un non credente (o forse solo diversamente credente, come lui stesso tende a precisare) e fervido sostenitore della laicismo.

Da subito Mandel, attraverso una dialettica appassionata, si destreggia tra numerose citazioni del Corano per descrivere questo Dio che anche nella religione islamica è sempre più, inopportunamente, nominato.

Dall’altra parte Giorello dal Paradiso in cui ci aveva condotti Mandel ci riporta sulla Terra, su di una dimensione prettamente umana. Egli ci ricorda della nostra umana fallibilità e fragilità; parla del fatto che siamo noi stessi a decidere del significato della nostra vita e nessun altro può sostituirci in questo; citando la Sura della Giovenca (“la buona direzione si distingue da sola dall’errore”) sostiene la non necessità dell’Autorità religiosa che in nome di Dio detta un determinato agire perché non si può imporre a nessuno una fede, ognuno deve essere lasciato libero di scegliere; conclude citando Thomas Jefferson “la Verità si regge da sola e non ha bisogno di qualcuno che la imponga” perché si deve educare ad un retto agire, questo non deve essere indicato. Come oggi, in realtà, si tende a fare.

Anche per Giorello questo Dio viene invocato davvero invano, al fine di giustificare questo o quell’intervento. Ma ciò non ha nulla a che vedere con la fede perché la si riduce ad un modo idolatrico di vivere.
Alla fine, al di là dalle diverse prospettive di partenza la conclusione è per entrambi la stessa.

Il prossimo comandamento a divenire oggetto di dibattito e riflessione è “ricordati di santificare le feste”. Il compito è affidato a Emanuele Severino e Piero Coda.

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