INAUGURAZIONE DEL MEMORIAL “MEMORIA E LUCE”

"The Light of Liberty shines through the Book of History"

11 settembre 2001 – 11 settembre 2005. Quattro anni in cui molti fatti tragici sono stati scritti sul libro della storia. Con l’inaugurazione del monumento di Daniel Libeskind, per un giorno a Padova si è rivissuto quel clima di solidarietà con la città di New York che si era affermato subito dopo l’attacco alle Torri Gemelle. Non senza polemiche e con qualche sospetto.

La golena delle Porte Contarine ospita dall’inizio del mese un’opera architettonica di sicuro impatto e controverso gusto estetico: il memorial “Memoria e Luce”. Si tratta di un’opera pensata e fortemente voluta dal Consiglio regionale del Veneto e dalle due amministrazioni che si sono succedute nel governo della città patavina, dopo aver ricevuto in dono Dipartimento di Stato americano una trave di ferro, arroventata e contorta dal calore, proveniente da quell’ammasso di materia fumante ribattezzato Ground Zero.
La trave, arrivata in Veneto tre anni fa, era stata già esposta come monito silenzioso davanti al Padiglione Americano ai giardini della Biennale. In quell’occasione nacque l’idea di costruire attorno a quella testimonianza esplicita un monumento per ricordare le 3000 vittime dell’attacco terroristico, un memorial unico nel suo genere in Europa. Il progetto selezionato è stato quello dell’architetto americano, ebreo polacco di origine, Daniel Libeskind (i cui antenati, si dice, hanno vissuto nell’antico ghetto della città). Un architetto piuttosto giovane ma già apprezzato, autore tra le altre cose del Museo dell’Olocausto da poco inaugurato a Berlino, e che nel 2003 è stato scelto per progettare la ricostruzione del World Trade Center.

Si tratta di una struttura articolata in vetro, acciaio e plexiglas, con un corpo centrale sviluppato in altezza per 17 metri, e che si presta ad interpretazioni diverse a seconda della prospettiva in cui la si osserva. Visto da Corso del Popolo, il memorial ricorda il tipico skyline di un grattacielo, che nello specchiarsi sulle acque del Piovevo può essere interpretato come un omaggio alla modernità fragile di Manhattan. Osservato dalla parte opposta, da via Giotto, questo grattacielo si trasforma in un grande libro aperto: l’allusione è, come ha spiegato lo stesso Libeskind, al libro tenuto in mano dalla Statua della Libertà. Ma è anche il libro della storia, sulla cui superficie bianca emerge, nera e ritorta, la trave, che emerge come una ferita insanabile. Dalle due grandi pareti di plexiglas si diparte un muro più basso, che delimita l’area del monumento e consente ai visitatori di trovare un luogo di raccoglimento e riflessione.
Ma il monumento ha un’altra componente fondamentale: la luce. È solo di notte infatti che esso si offre ad una visione completa, grazie al gioco di luci e di riflessi che colorano l’opera e la pongono in un dialogo ideale con le acque di cui è circondata. La luce contro il buio, la speranza contro il terrore, come ha spiegato l’autore, riassumendone in una frase il significato: “The Light of Liberty shines through the Book of History”.

Alla luce del giorno però sorgono feroci le polemiche. Se nessuno (tranne i soliti noti) contesta il significato ed il valore simbolico che l’opera di Libeskind ricopre, molte voci critiche si sono sollevate dai cittadini padovani sul valore estetico dell’opera, e soprattutto sull’opportunità della scelta del contesto. Molti hanno fatto notare come la modernità della struttura stonasse con il luogo dove era stata collocata, per la presenza di una testimonianza storica importante come le Porte Contarine, dei resti interrati della cinta muraria, e perché impediva la visione di alcuni scorci suggestivi della città ai turisti provenienti dalla stazione.
Probabilmente, questa difesa dei padovani della loro città giunge tardiva: in questo slancio a favore della bellezza si dimentica che si tratta di una zona dove pure sono già presenti molti di quei condomini e palazzoni sorti come funghi a Padova negli anni del boom, e che hanno fortemente compromesso la città sul piano urbanistico ed estetico.
Il capoluogo euganeo negli ultimi cinquant’anni è cresciuta in maniera frenetica ed incontrollata, sacrificando la sua natura di città d’arte che aveva nelle riviere (ora interrate) il suo lato più caratteristico.

Probabilmente è vero che una città debba sempre evolvere e che ogni epoca debba lasciare il suo segno, l’impronta degli uomini e delle donne che vivono quel tempo, e sicuramente il memorial rappresenta un’opera innovativa e di grande respiro, come non esistono in città. Tuttavia le polemiche sorte in questa occasione, oltre a rappresentare un raro caso in cui si è riusciti a far parlare la gente di architettura, invitano a riflettere su come debba essere fatta la pianificazione urbana oggi. Bisognerebbe infatti imparare dagli errori commessi nel passato, tenere conto che adesso la gente è più sensibile alla tutela del patrimonio culturale, e che Padova non è Francoforte, per cui non è possibile immaginare una pianificazione calata dall’alto, da parte di politici sempre pronti a sfruttare le occasioni d’immagine e tentati di effettuare scelta che lascino il segno.