“Kirschblüten – Hanami” di Doris Dörrie

Finchè morte non ci separi

Concorso
Un’anziana coppia bavarese vive in relativa tranquillità gli ultimi anni di lavoro prima della pensione. La loro vita non si distingue certo per spirito d’avventura, la routine ha preso ormai il sopravvento, ma, come suol dirsi, finché c’è almeno la salute…

Ma è proprio la salute fisica che viene a mancare all’improvviso, quel pilastro fondamentale sul quale si basa l’esistenza serena di una coppia che, come quella qui formata da Rudi e Trudi, non ha troppo da chiedere dalla vita e si può ritenere mediamente soddisfatta: una bella casetta sui rilievi della Germania meridionale, tre figli piuttosto affermati, indipendenti ed affettuosi il giusto (in effetti non sembrano avere poi troppo tempo da dedicare davvero ai loro genitori), ed un equilibrio misurato fra le stravaganze incombenti della terza età e gli ultimi, a tratti bizzarri, desideri di novità.
La malattia e l’incombenza potenziale della morte fanno il loro ferale ingresso fin dalla prima sequenza, quando la madre di famiglia apprende dai dottori del tumore del marito ma decide di nasconderglielo, propondendogli piuttosto distrazioni e viaggi esotici che non si erano mai permessi prima, quasi come palliativo segreto ad una verità che prima o poi dovrà comunque venire a galla. Seppure in sordina, la dipartita finale dalla loro amena valle (bavarese…) di lacrime contraddistingue dunque il film fin dal suo stesso inizio, e la regista veterana tedesca Doris Dorrie (la si ricorda in concorso a Venezia con il pasticcio pop Naked qualche anno fa, neanche troppo malvagio) si affanna per tutto il tempo a stemperare con osservazioni fra il poetico e l’ironico l’inevitabilità del corso degli eventi.

Il film si divide in due blocchi ben distinti: il primo si muove urbanamente in ambientazioni teutoniche, fra il ridente paesino in cui abita l’anziana coppia e la “tentacolare” capitale, dove i due vanno a far visita alla neanche troppo entusiasta prole; quando dopo l’inaspettata e paradossale morte della moglie (e pensare che era proprio lei che avrebbe dovuto traghettare verso una serena fine il marito…) il tradizionalista e brontolone signor Rudi decide di andare finalmente a far visita al figlio preferito, che si è trasferito in Giappone. La missione è quella ammirevole e delicata di far vedere alla moglie attraverso il proprio corpo il luogo da lei tanto agognato (forse una delle idee più apprezzabili dell’intera sceneggiatura). Qui la Dorrie prova un cambio di marcia un po’ arrischiato, e (per sua diretta dichiarazione, in omaggio a Tokio Monogatari di Ozu) cerca di imbastire un tenero confronto culturale fra la serenità dell’Estremo Oriente e lo stress perpetuo di noi abitanti del Vecchio Mondo.

Non stiamo neanche ad intavolare il discorso sui clichè ed i possibili déjavù culturologici dell’operazione (la regista evidentemente metteva in conto di affrontarli con piena coscienza già al momento della scelta del soggetto, altrettanto deve fare anche uno spettatore smaliziato), ma sembra invece che il difetto maggiore del film sia quello di non saper gestire con un equilibrio “artistico” la congerie di emozioni e di opzioni fortemente patetico-sentimentaliste che la storia pone come inevitabile scoglio da superare. Se è lodevole infatti lo sguardo delicato che una regista donna applica per dipingere la figura di un anziano maschio in crisi esistenziale, ci sembra invece che la struttura dei rapporti familiari ed amicali nel suo complesso punti un po’ troppo spesso sulla “pressione oculare interna” delle compagne di sesso: vale a dire tende a fare effetto sugli spettatori e sulle spettatrici dalla lacrima facile.
Una mistura non perfettamente amalgamata di autoironia teutonica (anche i tedeschi sanno prendersi in giro in modo gradevole, però) e ammirazione serena della tradizione nipponica, con il suo teatro, la sua pittura e, soprattutto, il suo monte Fuji a scandire un viaggio di autoconoscenza a tappe forzate. Un po’ troppo forzate per poter dire che ne sia venuto fuori un bel film.

Un film di Doris Dörrie
Con Elmar Wepper, Hannelore Elsner, Nadja Uhl, Birgit Minichmayr, Aya Irizuki, Maximilian Brückner
Genere Drammatico
Colore 122 minuti
Produzione Germania 2007