La vita e il lavoro di Miguel Gil raccontati attraverso le riprese effettuate dal reporter nelle diverse zone del mondo in cui si è trovato a lavorare e i racconti dei colleghi.
Nel 1993 Miguel Gil decide di iniziare a lavorare come corrispondente di guerra e a cavallo della sua moto, munito di telecamera, arriva in Bosnia per raccontare la guerra scoppiata in Jugoslavia. Dopo questa esperienza è stato in Kosovo, Ruanda, Cecenia ed in Sierra Leone dove viene ucciso in un agguato, sempre presente per raccontare la guerra ed il suo orrore.
Il documentario racconta la sua storia attraverso le immagini che egli stesso ha ripreso, molte delle quali non sono mai state utilizzate dalla tv. E questo è il primo aspetto interessante del documentario: in molte immagini non si succedono esplosioni o avanzate di carri armati, non si svolge cioè la guerra come siamo abituati a vederla nei telegiornali ma scopriamo la guerra vista attraverso gli occhi delle popolazioni che le subiscono. Le scene più scioccanti non hanno come protagonisti dei militari ma dei civili: intere popolazioni costrette ad abbandonare il proprio paese, tra rifugi improvvisati, bambini denutriti, soli, impauriti, sguardi smarriti.
Colpisce la capacità di Gil di entrare immediatamente in contatto con chiunque si trovi davanti alla propria telecamera, riuscendo a stabilire una relazione molto umana e sincera, che gli ha permesso di raccontare piccole storie private, in pochi minuti, di persone conosciute in zone di guerra.
Il documentario pone l’attenzione anche su questioni sempre attuali sulla figura degli inviati di guerra: è giusto che questi reporter mettano a repentaglio la propria vita per trasmettere immagini da zone del mondo in cui spesso possono contare solo sulle proprie forze?
Lo stesso Gil era solito accompagnare le sue riprese con delle riflessioni ad alta voce durante le quali si domandava se il suo lavoro fosse moralmente giusto, essere cioè osservatori di tali follie e atrocità senza riuscire fare nulla ha un senso? Oppure potrebbe essere molto più utile in altri modi? Con il suo lavoro aiutava la causa della pace, facendo conoscere la situazione di quella zona del mondo e della sua popolazione o speculava sulla guerra? Un quesito a cui non si è mai sottratto nelle sua riflessioni e nei suoi contatti con le persone per le quali la guerra non era una scelta ma una sventura inevitabile.
Molti colleghi e amici di Gil raccontano le loro esperienze con il reporter e condividono i suoi stessi dubbi ma in ultima analisi tutti ritengono che il lavoro del reporter rimane una fondamentale testimonianza di ciò che accade nel mondo, soprattutto durante evento tragico come è una guerra.
La morte di Miguel Gil nel 2000, durante un agguato in Sierra Leone al convoglio militare al quale aveva chiesto un passaggio, diviene quindi nel documentario un tragico spunto per interrogarsi sulla figura dell’inviato di guerra ma anche per raccontare la vita ed i pensieri di un personaggio impegnato in prima persona nella rappresentazione delle guerre e della loro assurdità.
Un documentario reso ancor più attuale e significativo dalla realtà dell’odierna guerra in Iraq, in cui si è registrato il numero più alto di giornalisti uccisi in un conflitto che ha convinto alcuni governi a far rientrare tutti i reporter dal territorio iracheno.
Titolo originale: Miguel, në terren
Nazione: Spagna
Anno: 2003
Genere: Documentario
Durata: 57’
Scritto e diretto da Lluís Jené e Enric Mirò
Produzione: Miguel Ángel Rolland