Concorso
Scena prima: inquadratura dall’alto del corpo chiaramente senza vita di una ragazza su un letto, immerso in una pozza del suo stesso sangue; l’inquadratura sale, varca i confini del soffitto della camera d’albergo numero 1207 fino ad includere la totalità del dodicesimo piano dell’albergo stesso, dove tutti, ignari della tragedia appena occorsa, proseguono nelle loro vuote esistenze.
Cominciano le indagini al commissariato; due rinomati detective prendono in mano quello che risulta essere il primo caso di omicidio seguito in diretta televisiva, con tanto di salotti di commento.
Sorgono i primi problemi ed i primi colpi di scena: chi si pensava essere il colpevole non lo è; quello che si pensava essere un omicidio perpetrato con nove coltellate è in realtà un avvelenamento; quella che sembrava una vittima innocente si scopre essere una donna che nell’ultimo periodo della sua esistenza si è attirata molte ire e gelosie. I sospettati, quindi, da uno (e quasi certamente colpevole), diventano più d’uno, tutti con forti moventi per eliminare la ragazza.
I due responsabili delle indagini vedono accumularsi difficoltà ed ostacoli; alle normali traversie di un caso di omicidio si aggiunge la presenza ingombrante del produttore dello spettacolo televisivo che segue in diretta le indagini. Il suo obiettivo è quello di spettacolarizzare al massimo quello che è ormai diventato il più imponente successo mediatico della televisione coreana; livelli di share assurdi, i due detective che sono ormai più famosi di star del cinema, commenti e suggerimenti per le indagini che si sprecano.
Poco alla volta i nodi sembrano venire al pettine, i due colpevoli sembrano essere stati identificati dalle telecamere di sorveglianza. Ma il produttore pretende più spettacolo, e imbastisce una messa in scena dove il merito della risoluzione del caso andrà ad una medium che si è messa in contatto con lo spirito della vittima.
Quando tutto sembra risolto, con il doveroso riconoscimento dei meriti ai detective, si viene a scoprire l’impensabile verità.
Il regista di Someone special, in concorso lo scorso anno ad Udine, questa volta non ci delizia con una leggera commedia, bensì si mette alla prova con un poliziesco che sfocia, nel finale, nel paranormale. La spiccata vena ironica del regista però accompagna sottopelle tutta la pellicola. Sembra essere proprio questo aspetto la discriminante per la cattiva riuscita del film; Jang Jin, infatti, fa la scelta peggiore: non dichiara apertamente a quale registro filmico voglia fare appartenere il suo lavoro.
Inoltre, forse anche per mancanze dello spettatore occidentale, i due registri stilistici che convivono nel film sembrano non amalgamarsi per niente. C’è da aggiungere che si ha avuto l’impressione di non essere riusciti ad afferrare, nella traduzione, molte delle battute ironiche che popolano questo lavoro; infatti molti tempi visivi lasciati chiaramente allo spettatore per la risata, sono stati accompagnati invece in sala da un gelo antartico.
Nonostante questa incompletezza e le incoerenze di cui sopra, come giallo poliziesco il film funziona abbastanza bene grazie ad una solida sceneggiatura ed a una regia che utilizza i canoni del registro stilistico in modo molto competente; peccato per la deriva paranormale che sporca un po’ il finale.
Regia: JANG Jin
Anno: 2005
Durata: 115′ min