Si può morire anche a dieci anni, e sentirsi abbandonati, perché i tuoi genitori non hanno il coraggio di starti a guardare mentre ti spegni.
Non c’è più niente da fare per te: lo leggi negli occhi dei medici e delle infermiere, che quando entrano nella tua stanza sorridono di sorrisi forzati.
Nessuno ti dice la verità; ma tu la sai lo stesso, e quell’alone di mistero che la circonda la rende solo più spaventosa
A farti paura non è tanto la morte, quanto l’atteggiamento degli altri: sembrano delusi da te- come se fosse colpa tua se il tuo organismo non ha reagito alla chemio, non ha tratto giovamento dal trapianto ed è sempre meno capace di difendersi dalla malattia.
Mamma e papà non possono farti guarire, e si sentono falliti; così non hanno più il coraggio di guardarti negli occhi, perché temono che tu legga nel loro sguardo quello che già sai.
Per continuare a vivere, per non morire prima di essere morto, ti ci vorrebbe un angelo: una persona che avesse il coraggio di sorriderti pur nella consapevolezza che tu sai cosa sta accadendo; qualcuno che fosse capace di portare con te il tuo fardello senza ignorarlo: ormai non si può più far finta di niente e, se gli adulti non avranno il coraggio di accompagnarti, dovrai terminare il tuo viaggio da solo.
“Nel mio paese, Oscar, c’è una leggenda che sostiene che, durante gli ultimi dodici giorni dell’anno, si può indovinare che tempo farà nei dodici mesi dell’anno seguente. Basta osservare ogni giornata per avere, in miniatura, il quadro del mese. Il 20 dicembre rappresenta gennaio, il 21 dicembre febbraio, e così via. Fino al 31 dicembre che prefigura il dicembre seguente.”.
“E’vero?”
“E’una leggenda. La leggenda dei dodici giorni divinatori. Vorrei che ci giocassimo tu ed io. Soprattutto tu. A partire da oggi, osserverai ogni giorno come se ciascuno contasse per dieci anni”.
Ed eccoli insieme, il bambino e la dama in rosa: coraggiosa, sempre sincera come l’acqua pura, sempre dolce come una mamma vera, è l’unica che riesce a non intaccare la serenità del suo piccolo amico.
Nona Rosa non racconta bugie. Lui lo sa, ed è per questo che le crede quando gli parla di Dio: un amico che ti ascolta, a cui puoi scrivere e a cui puoi chiedere un regalo ogni giorno.
Così, miracolosamente, Oscar riesce ad inventare la vita che non ci sarà, ed a prendere per mano la morte con naturalezza, senza terrore; ed è proprio lui, il più piccolo e debole, a consolare gli adulti: insegna loro la fiducia, l’abbandono.
“Non bisogna fare una faccia simile, dottor Dusseldorf. […]. La smetta con quell’espressione colpevole. Non è colpa sua se è costretto a annunciare brutte notizie alle persone, malattie dai nomi latini e guarigioni impossibili. Non è Dio Padre.[…]. Lei è solo un riparatore. Deve rallentare, dottor Dusseldorf, diminuire la pressione e non darsi troppa importanza, altrimenti non potrà continuare a lungo con questo mestiere. Guardi già la faccia che ha.”.
Questo è un libro di pagine limpide e dense di commossa poesia; un libro che sa parlare una lingua che forse dovremmo reimparare tutti: quella dei semplici e dei bambini.
Rizzoli, 2004, 90 pag, 9 euro