“PORTRAIT OF A LADY FAR AWAY” di Ali Mosaffa

I sogni son desideri

Amori in (con)corso
Ahmad, un architetto di mezza età, trova un messaggio nella segreteria telefonica da parte di una donna che non conosce e che afferma di aver composto il suo numero a caso. Il contenuto del messaggio è una dichiarazione di suicidio. L’uomo si precipita all’indirizzo della ragazza, ma qui si imbatte solo in una sua amica, comprensibilmente sconvolta dalla notizia. I due vagano per tutta la notte, da un ospedale all’altro, in cerca della ragazza scomparsa. Sarà la notte più strana della vita di Ahmad, che dovrà finalmente affrontare l’angoscia che lo ha tormentato negli ultimi vent’anni.

Novantotto minuti di torpore, tra momenti verbosi e lunghi silenzi. La voce fuori campo parla ma non dice nulla che vada al di là della suggestione, parole che si accavallano e raccontano di sogni, non sogni, sogni che si sarbbero potuti fare ma in realtà non si fanno perché non si sogna più. Lo spettatore sogna invece, ma perché si è assopito: e questo non è un bene. A tratti i temi sembrano troppo complessi per essere capiti, troppo criptici: ma il pubblico ha diritto di capire (anche se in verità non c’è molto da capire, il senso latita).

Si capisce la volontà di comunicare l’alienazione, il disorientamento, il senso di vuoto dei protagonisti, ma quando la messa in scena concilia il sonno significa che i tentativi non sono andati a buon fine. L’attore principale, Homayoun Ershadi, è sinceramente fin troppo alienato: sembra quasi la prima vittima della pellicola, sempre ad un passo dall’addormentarsi. Leila Hatami, moglie del regista, regala una buona prova ma la sala purtroppo non può apprezzarla perché dorme: e se il film fa dormire invece che mettere in risalto i suoi attori, qualcosa non funziona.

Ali Mosaffa, attore, è alla sua opera prima: se ce ne saranno di successive e il suo stile non si ravviva, sarà meglio premunirsi di un cuscinetto. In più, il tema dell’alienazione talvolta sembra un po’ un alibi: la regia è disorientata per rendere lo smarrimento dei protagonisti o perché il regista non sa cosa inquadrare e come? E il protagonista è narcolettico per il male di vivere o perché ha scoperto che l’espressione persa a palpebre serrate è l’unica che gli riesce?

Alla fine del film, il pubblico si scatena, si muove, chiacchiera, per dimostrare a se stesso che è ancora vivo e il film è finito: la vita ricomincia. Il commento è unanime. Una signora azzarda: “Un po’ cerebrale”. Il suo amico confessa: “Io ho anche schaicciato un pisolino”. Se il film voleva parlare dei sogni, indirettamente c’è riuscito.

Titolo originale: Sima-ye zani dar doordast
Nazione: Iran
Anno: 2005
Regia: Ali Mosaffa
Sceneggiatura: Ali Mosaffa, Safi Yazdanian
Fotografia: Homayoun Pavyar
Scenografia: Mohsen Shahebrahimi
Musiche: Peyman Yazdanian
Montaggio: Hayedeh Safiyari
Interpreti: Leila Hatami, Homayoun Ershadi, Zahra Hatami, Zhila Sohrabi
Produttori: Saghi Bagherinia, Rouhollah Baradari
Produzione: Tooba Film
Distribuzione: Iranian Independents
Durata: 98 min.
Data d’uscita: 29 Marzo 2006 (Verona Film Festival)