Raul Bova presenta il suo nuovo film “Sbirri”

Raul Bova racconta, da attore e produttore, la pellicola in uscita nelle sale

Sbirri nasce dall’idea di Chiara Giordano e Raoul Bova di cimentarsi in un progetto diverso dal solito, di fare cioè un film popolare sotto diversi punti di vista, ma con un linguaggio nuovo.
Il regista, Roberto Burchielli, torna dopo il documentario Cocaina a occuparsi di un’emergenza sempre più dilagante, soprattutto tra i giovanissimi, la droga appunto, nella sua più svariata tipologia, dalle pastiglie d’ecstasy alla cocaina. Lo svolgimento narrativo, con cui è stato realizzato Sbirri, che uscirà in 220 copie circa, è uno dei più innovativi; ce ne parlano, presso la Terrazza Martini a Milano, i due interpreti principali, Bova e Simonetta Solder, insieme, naturalmente, al regista e a uno dei due produttori, Chiara Giordano.

Racconta Burchielli: “Volevamo raccontare una storia d’attualità, in modo vero. Doveva essere un film in tutto e per tutto, ma con l’autorevolezza e la credibilità che di solito solo i documentari riescono ad avere. Così abbiamo deciso di portare tutti gli spettatori dentro la realtà. Altri film hanno raccontato il mondo dello spaccio degli stupefacenti, noi lo facciamo vivere in prima persona.
Come? Come ha fatto Raoul Bova, il nostro protagonista, che ha vissuto per un mese con i poliziotti della sezione U.O.C.D. della Squadra Mobile di Milano.
E’ stata la sfida più grande: un attore che si misura con la realtà, creando il proprio personaggio secondo dopo secondo, respiro dopo respiro; una troupe cinematografica che si è annullata completamente, diventando una presenza impalpabile, con l’intento di registrare fedelmente tutti gli accadimenti senza alterarli.
Posso assicurare che tutto ciò che vivrà lo spettatore noi l’abbiamo vissuto in prima persona.
Tutte le operazioni della squadra inserite nel film sono vere.”

Come è stato interpretare Matteo Gatti?

Bova: “Abbiamo infranto il muro della funzione. Ho recitato in un ruolo in cui tutti gli attori vorrebbero trovarsi. Abbiamo raggiunto la sublimazione della realtà, che è la cosa più bella per un attore. Ho voluto mettere a servizio la mia popolarità per far ragionare, per parlare ai giovani della gravità della droga.
Non è stato facile girare questo film. mi sono trovato anche in difficoltà. Ma la forza di Sbirri è quella di mostrare la realtà..
Nel film c’è una scena in cui io sto male, e non fingo, sono stato male per davvero!
E’ stato ripreso anche questo si! Dopo ore ed ore di appostamento siamo arrivati lì…io guardavo da un monitor quello che succedeva sul campo d’azione, ad un certo punto abbiamo incominciato a correre…abbiamo raggiunto lo spacciatore in un attimo, ho visto le manette, ho visto la faccia del ragazzo… immobilizzato… l’adrenalina è impazzita, è stato un violento colpo allo stomaco.
Dopo tanti film, dopo tante esperienze, avevo voglia forse di trovare un qualcosa in più, qualcosa che mi desse un’emozione a livello artistico e che mi desse la possibilità di poterla realizzare anche a livello produttivo; era la voglia di un film con un certo valore sociale, che raccontasse storie vere raccontate in modo vero.”

Chiara Giordano: “Riflettevamo sul fatto che ci serviva un attore che s’integrasse nella realtà, che si mescolasse agli agenti di polizia in borghese, in macchina, per strada, nei locali, a cercare e ad arrestare gli spacciatori, di fatto una persona coraggiosa che fosse pronta a mettersi in gioco.”

Burchielli: “Quando Raoul ha detto ‘Posso farlo io…’ sicuro ed entusiasta, non me lo sono fatto ripetere due volte e dopo neanche un mese eravamo a Milano pronti per le riprese.”

Qual è stato l’impatto girando questo film sotto copertura?

Bova: “Non avevo mai abbinato delle facce a questo mondo, allo spacciatore, al compratore, ma quando te li trovi di fronte ti rendi conto che è una realtà completamente diversa. La cosa che ti fa riflettere, su cui ti soffermi ancora di più è proprio il fatto che tutto ciò è una normalità, sta diventando una consuetudine quella di sballarsi. E’ soltanto colpa dei ragazzi che comunque sono dei ‘testa vuota’ che non sanno dove andare e cosa fare oppure c’è anche una responsabilità nostra? Come genitori siamo sicuri di dare delle alternative, i giusti esempi, gli stimoli adeguati? Forse non si propone niente di meglio e quindi forse un po’ di responsabilità ce l’abbiamo tutti.
Come padre mi pongo molte domande sull’educazione dei miei figli. Io e mia moglie ci ripetiamo che non siamo nati genitori. Cerchiamo di trovare la giusta predisposizione all’educazione, cercare di stare vicino al carattere dei nostri figli.”

Burchielli: “Sinceramente non ho mai visto un attore calarsi così nel personaggio e riuscire a dare delle emozioni così forti.”

Come è nato questo progetto?

Chiara Giordano: “Una sera ho visto un film sulla squadra mobile antidroga di Milano, ne sono rimasta molto colpita e ho deciso di trovare il regista per presentarlo a Raoul: dovevano fare qualcosa insieme. Gli ho fatto vedere il film ed ho detto: questo è il regista che cerchi”

Bova: “Il progetto è nato vedendo il documentario Cocaina di Roberto, vedendo e scoprendo la vita che fanno i poliziotti impegnati in questa lotta contro lo spaccio. Con Chiara, mia moglie, abbiamo contattato il regista ed esposto il nostro progetto. L’intenzione è di far vedere queste cose a tutti.
È un esperimento che miscela storia cinematografica alla realtà drammatica. Il nostro intento è quello di colpire, shockare la gente. Perché quando apprendi di giovani che spacciano, che non sono coscienti di ciò che fanno, ti rendi conto che c’è dietro un’emergenza sociale pesante.
Marco, questo il nome di “mio figlio” nella storia è un ragazzo che non fa uso abituale di droga. Questo ha un fine preciso: volevamo dare l’idea della pericolosità della situazione, per creare maggior identificazione. Perché basta anche solo una volta perché sia fatale. È un veleno che viene messo in commercio e i nostri figli sono esposti al pericolo.”

Gli agenti di polizia della sezione U.O.C.D recitano a volto scoperto, quindi hanno perso l’anonimato?

Bova: “No! Gli spacciatori consocono chi combatte lo spaccio. È gente sempre in strada. Gli spacciatori hanno un ricambio impressionante, se ne arresti uno, il giorno dopo te ne arrivano tre sulla strada.
Questi eroi, questi poliziotti, sono persone tranquillissime e umane e lo vedi anche da come trattano quelli che alla fine arrestano, con grande rispetto, grande umanità e sensibilità. Spesso gli spacciatori con loro accampano le stesse scuse che troverebbero se avanti avessero i loro genitori.
Per loro questo lavoro è una passione, una missione, al di là tutto. Angelo è un’artista e dipinge benissimo, Paolo faceva lo chef e Simone è istruttore di boxe.”

Chiara Giordano: “Sappiamo che ci sono per le strade, ma vederli e viverli come poi noi li abbiamo vissuti nel periodo delle riprese è stata un’emozione grande, è stato bello vedere la loro semplicità, la loro passione. Credono nel loro lavoro, faticano, soffrono e nello stesso tempo fanno del bene. Posso dire anche onestamente che come mamma in qualche modo mi sono sentita quasi più sicura sapendo che ci sono loro per le strade, sapendo che un giorno magari i miei figli potranno avere anche degli esempi veri e nuovi da seguire.”

Burchielli: “Girare Sbirri è stato complicato, ad aiutarci è stata la fiducia da parte degli agenti di polizia, con cui avevo già lavorato… sapevano che non avremmo intralciato le loro operazioni.”

Simonetta Solder, come descriverebbe Sveva, la moglie di Matteo Gatti?

“Sveva è una donna felice, innamorata, ha una famiglia normale. Con il marito ha un rapporto di complicità. A un certo punto si trova ad affrontare il lutto, è incinta. È da sola, cerca di superare, di trovare una risposta. Si rende conto che tante cose del figlio non le conosceva.
La cosa più intesa è stata recitare senza copione. Abbiamo vissuto queste scene vivendole, tramite dinamiche familiari.
C’è stata grandissima complicità e si è instaurato subito un rapporto profondo sin dal primo giorno; mi sono ritrovata proprio ad essere e a diventare sua moglie, la mamma di Marco; abbiamo vissuto come una famiglia vera con tutte le piccole cose, le cose normali e questo ha creato veramente l’unione, il gruppo, l’affetto, una famiglia che si ama.
E non erano scene da 5 minuti erano ciak di 40 minuti, non avevo mai fatto nulla del genere… si sviluppa un qualcosa in cui sei dentro a lungo, dall’inizio alla fine, per non parlare del livello emotivo, sempre altissimo.”

In base a quale criterio avete poi montato tutte le riprese?

Burchielli: “Abbiamo lasciato parlare le immagini. Abbiamo girato per 170 ore e di queste siamo arrivate a sceglierne 100, togliendo tante storie, anche toccanti, cercando l’azione, la storia spettacolare.
Gli attori si sono prestati a scene di grande sacrificio, alcune sequenze hanno richiesto anche riprese di un’ora consecutiva di durata.
Un’altra sfida è stata quella di far convivere parti di finzione con la realtà. Così abbiamo deciso con tutto il cast di lavorare sull’improvvisazione. Ogni attore ha scavato nel profondo della sua anima per trovare le stesse emozioni vissute dal suo personaggio. E’ stato un lavoro duro, a volte doloroso, un’esperienza che ci ha avvicinato.
Nelle riprese delle parti di ‘fiction’ ho voluto mantenere lo stesso linguaggio adottato per filmare la realtà. La macchina da presa rimane sempre un elemento esterno, che osserva in modo imparziale, spia, non prevarica gli avvenimenti, tende a rimanere in disparte, a celarsi dietro dei filtri naturali, vetri, riflessi o dietro il linguaggio ormai naturale delle webcam e dei telefonini.
Ideare e girare Sbirri è stato unico ed elettrizzante, merito di un cast artistico e tecnico d’altissima qualità e di una coppia di produttori che sì è dedicata anima e corpo a questo progetto coinvolgendo tutti con il loro entusiasmo”

Bova: “Dobbiamo anche dire che per due mesi Burchielli non ha dormito!”

Burchielli: “Nel Dvd, quando uscirà, sarà recuperata una parte delle scene tagliate e inserita nei contenuti speciali.”

Bova: “C’è anche in progetto, che eventualmente verrà inserito nel Dvd, che è quello di girare dei corti in cui i ragazzi raccontano la loro realtà.”

Perché avete scelto Sbirri come titolo?

Bova: “Il titolo Sbirri è una piccola provocazione, è ironico proprio perché comunque sottolinea la concezione comune, tra virgolette, che i poliziotti siano degli “sbirri” soprattutto tra le giovani generazioni.”

La Sanmarco nasce sulla scia di molti attori americani che producono i film che vogliono interpretare?

Bova: “L’idea di questa casa di produzione nasce per portare avanti progetti che ti appaghino come attore. Lavoro con mia moglie per cercare storie che ci piacciano, anche storie d’amore. Non abbiamo una linea editoriale che va solo sul sociale.”

Foto a cura di Ilaria Falcone Copyright © NonSoloCinema.com – Ilaria Falcone