UN PIZZICO DI SEPE NEL MAR ADRIATICO

Daniele Sepe in concerto porta musica, parole e impegno nel salotto buono delle vacanze estive

D’estate, si sa, le riviere si affollano di turisti, infradito, biciclette, aperitivi e passeggini. Le sere, un po’ più fresche, offrono tavolini all’aperto, granite, passeggiate dritte e vocianti, qualche discoteca ad intasare un chilometro quadrato di spiaggia. Ma, a volte, anche le città di mare possono riservare una bella sorpresa: come un concerto dove jazz, tarantelle, cabaret e politica trovano il giusto mix di fascinazione. Grazie al talento di Daniele Sepe.

Spiace vedere l’arena Gigli, nel cuore di Porto Recanati, piena solo per metà. E spiace ancora di più trovarsi di fronte un mare di sedie “contenitive”, dove la voglia di ballare spinge alcuni ragazzi a una migrazione forzata a lato del palco, per dimostrare, con la gioia di due passi improvvisati e spontanei, il proprio entusiasmo, un autentico “godimento sensoriale”.

Il concerto, atteso fin dalle 21:45, inizia con uno spaventoso ritardo, ma il prezzo, otto euro per due ore di ottima musica, e la battuta sempre pronta di Sepe, ingorgato nel traffico del grande raccordo anulare, come dice lui, per scusarsi, lo fanno subito perdonare. Dici Sepe, e subito pensi ad un’energia creatrice e propulsiva, ad un talento jazzistico messo al servizio di ritmi meridionali, quelli nati dall’incontro delle culture che dal mediterraneo traggono luce e colore, dei suoni di tutti i sud del mondo, dove basta poco per trovare il giusto “quid” del movimento. Dici Sepe, e subito pensi ad uno spettacolo irriverente, tagliente, di quelli che non risparmiano nulla e nessuno, dove l’umorismo ed il talento trovano il giusto punto di fusione.

E invece no. O non solo. Perché Sepe, che dei gusti del pubblico oramai sa tutto a memoria, decide di stupire, e di iniziare dal nuovo, dall’inaspettato: e così il concerto si apre con un assaggio del nuovo spettacolo, in questi giorni in giro per l’Italia, tutto dedicato al genio dell’assurdo e dell’azzardo, Frank Zappa. Il pubblico, molte famiglie, qualche anziano (chissà, magari capitato lì per sbaglio), due o tre curiosi, e, per fortuna, gruppi di giovani attenti, a movimentare l’atmosfera, rimane freddino ai virtuosismi di Sepe e degli altri musicisti con lui, sul palco ( Piero De Asmundis alle tastiere, Vittorio Pepe al basso, e Lello di Fenza alla batteria). E non riesce a scaldarsi più di tanto ( o meglio, si scalda, si, ma sempre seduto) quando Sepe, tra una battuta e uno pseudocomizio smaccatamente (ma c’è bisogno di dirlo?) schierato, tra un applauso e una risata, senza divismi, ma con la simpatica semplicità di chi è consapevole del proprio talento, sfodera il migliore repertorio della propria produzione: dalle tarante rivisitate e corrette (“Tarantella del gargano”), quasi un’altra cosa con una nuova ed inusuale veste, agli straordinari versi di Victor Jara (“Te recuerdo Amanda”), passando per un pezzo di casa Sepe (“Un’altra via d’uscita”), dove le parole fanno tutt’uno con il banchetto dei prodotti del commercio equo e solidale piazzato all’interno dell’arena, per “Yerakina”, travolgente e coinvolgente, finendo con un toccante bis di sentimenti ed emozioni, “Vedrai vedrai” che, tra le labbra della cantante, Auli Kokko, si trasforma in un’ancora più straziante, se possibile, dichiarazione d’amore.

Una nota a parte dovrebbe essere scritta proprio e solo per lei, la cantante, Auli, figlia dei fiori trapiantata nel ventunesimo secolo, origini svedesi, voce camaleontica e presenza degna della migliore tradizione teatrale: con lo charme di chi sul palco sta da sempre, con una sonorità pulita, potente, vibrante, Auli Kokko passa con disinvoltura dalle tarante alla chansonnier d’autore, emozionando e coinvolgendo, riuscendo, con tutta sé stessa, a comunicare tutto l’amore, e la passione, per la musica, facendo quasi rivivere i fasti del miglior cabaret anni trenta.

Un consiglio: se dovesse passare Sepe, dalle vostre parti, non esitate a saltare sul suo treno di note e ironia.