“Velluto Blu” : opera paradigmatica di un cineasta – Lynch – fra i massimi esponenti di una poetica dell’immagine che fa il verso alle sperimentazioni filmiche di straordinaria loquacità del primo cinema muto di Fritz Lang. Costantemente alla ricerca di una sintassi cinematografica che sdoppi il piano del contenuto narrativo in favore di quello espressivo, affascinato dalla possibilità dell’ opera d’arte “totale”, Lynch lascia libertà di parola alle immagini, all’inconscio, all’organica incantevole sensualità del velluto blu.
Il tema del film è caratterizzato dalla dicotomia fra facciata e profondità, fra bellezza e disgusto, dalla ricerca di sublime inteso come contrapposizione al bello, freudiana antitesi fra Eros e Thanatos, perversione raccapricciante quanto attraente.
Il film si apre su un’immagine di trasparente distensione, in una location che vede la solita cittadina di provincia, pulita ed apparentemente tranquilla: uno steccato bianco, dei papaveri rossi, il cielo blu (ma guarda un po’: la bandiera americana), un vecchietto che cura il suo giardino. Dal campo lungo la macchina da presa discende poi nel particolare, la pompa inizia ad attorcigliarsi su sé stessa, il flusso dell’acqua si blocca, così come il sangue nel cuore del vecchietto; il nostro sguardo si inoltra sempre più verso l’interno, avanza nella parte nascosta, dietro la facciata, sino ad arrivare a contatto con la terra, alla visione del tanto nascosto quanto immenso brulichio di insetti che lottano freneticamente. Ed ecco, nell’incipit, la colonna portante dell’intera opera, il tema del film: una discesa agli inferi, un viaggio nell’interiorità più profonda del protagonista, Jeffrey, un’ iniziazione forzata quasi quanto necessaria, conseguenza naturale del caso.
Un’ apertura alla complessità, la focalizzazione del particolare, l’ allontanamento dal tutto e il conseguente avvicinamento alle pulsioni inconsce. L’infarto del padre sarà la chiave che aprirà a Jeffrey la possibilità di distaccarsi dal pacifico limbo nel quale è avvezzo a vivere, l’accesso al mistero, l’immersione nel suo io. Entrare in contatto con Frank, emblema di violenza delirante, e Dorothy, troppo inquieta per essere normale e nel contempo smisuratamente legata ai suoi affetti per considerarsi totalmente torbida e quindi perduta, lo condurrà in un universo di manifestazioni orribili quanto affascinanti. Il blu, come in altri film di Lynch, è volto a simboleggiare lo smorzamento della ragione in favore delle pulsioni più recondite dell’ Id. Jeffrey tuttavia conserva la consapevolezza di non dover varcare il punto di non ritorno: non vi è catarsi ma pura esplorazione. La tecnica dello zoom per evidenziare il passaggio fra vari livelli di realtà è un’altra fra le caratteristiche proprie di Lynch: così come per la scatola blu di Mulholland Drive, aperta la quale l’intero filo del discorso si sdoppiava proseguendo su un ipotetico nastro di Moebius, in Velluto Blu (sebbene la struttura narrativa sia lineare e scevra di salti temporali) la penetrazione della macchina da presa nell’orecchio mozzato trasporta lo spettatore e Jeffrey stesso al di là della soglia del reale, in un viaggio nel piano dell’immaginario.
Nessuno in effetti può escludere che l’intera vicenda sia stata semplicemente frutto di un incubo, un viaggio all’interno del sé, un assopimento di pochi attimi sul lettino da giardino dilatato per l’intera durata del film. Il suo viaggio è in ogni caso simbolico. L’orecchio è la “possibilità” di affacciarsi a un universo totalmente estraneo. Il ragazzo, riaffiorando alla normalità, porterà con sé il risultato della fusione fra i due mondi: il suo e quello della sua ragazza, entrambi figli di buona famiglia, e quello degli inquieti e perversi Dorothy e Frank. Nella scena di chiusura, di fronte allo stesso giardino, il cinguettio di un pettirosso richiama l’attenzione di Jeffrey e Sandy. Ed ecco che la serenità ritrovata si mostra consapevole: il volatile mastica un insetto, figurando ancora una volta il contrasto fra bellezza e orrido, fra amore e morte. “E’ proprio un pazzo mondo”, affermeranno i due. Un film sul contrasto, onirico, epidermico e visionario nello stesso tempo.
Quel che interessa a Lynch non è infatti lo spazio logico: così come l’inconscio non ammette risoluzioni di senso, così la pellicola non si obbliga nello scioglimento di alcuni enigmi. Pensiamo all’apparizione di Dorothy, completamente nuda nel giardino di Jeffrey. O alla postura eretta del poliziotto corrotto nelle scene finali del film: morto eppure perfettamente in piedi. Quel che conta sul serio per Lynch è il rapporto morboso in cui porre lo spettatore rispetto alla sequenza di immagini. Quello che non è chiaro, il “non detto”, mutano la possibilità concreta d’azione dell’occhio contemplante nella costruzione finale del film. Velluto Blu non pone lo spettatore in una condizione di pura passività, ma anzi, invita all’ interpretazione, all’esplorazione, attraverso la sospensione del senso.