13 anni dopo con un budget che oscilla tra i 350 e i 400 milioni di dollari arriva il sequel di Avatar. E non è finita qui perché James Cameron ha previsto l’ultimo capitolo, il quinto, in Sala per dicembre 2030 suppergiù.
Abbiamo visto Avatar: La Via dell’Acqua al Cinema Arcadia di Melzo, nella maestosa Sala Energia.
Quindi tecnicamente al massimo livello della sua espressione registica, della visione e del comfort.
Anche perché James Cameron, che in questo personale progetto sul pianeta “Pandora” ha investito 20 anni della sua vita (scrisse un primo trattamento del film originale nel 1994), non si è creato dubbi o problemi di tempo, tant’è che Avatar: La Via dell’Acqua dura 192 minuti. Tanti. Troppi a tratti.
Jake è il capo del clan degli Omatikaya e vive costantemente nel suo corpo Na’vi. “La famiglia è la nostra fortezza”, come ricorda spesso a sua moglie Neytiri, ai loro figli Neteyam (JamieFlatters), Lo’ak (Britain Dalton) e Tuk (Trinity Jo-Li Bliss) e alla loro figlia adottiva adolescente Kiri (Sigourney Weaver). I ragazzi trascorrono parecchio tempo con Spider (Jack Champion), un bambino umano che era rimasto orfano durante la guerra e all’epoca era troppo piccolo per tornare sulla Terra.
Per più di un decennio, il clan degli Omatikaya ha trascorso una vita piuttosto idilliaca, finché “La Gente del Cielo” è tornata su Pandora non solo per gestire operazioni minerarie ed estrarre il prezioso minerale noto come “unobtainium”; ma anche per colonizzare l’intera luna e renderla la nuova casa dell’umanità, dato che la Terra è al collasso ambientale.
Una squadra d’elite di soldati è stati resuscitata sotto forma di ricombinanti (cloni o ricom), ossia avatar autonomi in cui sono stati impiantati i ricordi degli esseri umani il cui DNA è stato utilizzato per crearli.
A guidarle c’è il Ricom Col. Miles Quaritch (Stephen Lang). Quando Jake si rende conto di essere il bersaglio della squadra di ricom di Quaritch, lui e Neytiri sono costretti a prendere una decisione difficile: per proteggere il resto del clan, i Sully devono abbandonare la loro patria e cercare un rifugio sicuro nei distanti atolli di Pandora.
Dopo aver affrontato un lungo viaggio attraverso gli oceani di Pandora, i Sully raggiungono la casa del clan dei Metkayina, guidato da Ronal (Kate Winslet) e Tonowari (Cliff Curtis). Lì, Jake invoca l’Uturu, una tradizione Na’vi secondo cui bisogna garantire asilo a qualsiasi rifugiato in cerca di protezione. Accogliendo con riluttanza i loro ospiti, Ronal e Tonowari chiedono ai loro figli Tsireya (Bailey Bass) e Aonung (Filip Geljo) di aiutare i giovani Sully ad adattarsi alle usanze e alle tradizioni del clan acquatico. La scomparsa dei Sully dalla foresta pluviale non impedisce a Quaritch di continuare a cercare “il ribelle Jake Sully”.
Quando Quaritch riceve delle informazioni che suggeriscono che Jake potrebbe essersi stabilito in uno dei numerosi clan che vivono sulla barriera corallina, il colonnello inizia a devastare un villaggio Na’vi dopo l’altro alla ricerca della sua nemesi. La ricerca di Quaritch porterà a un’epica battaglia marina in cui le forze terrestri combatteranno contro Jake, Neytiri e i Metkayina.
Dopo un’ora di combattimenti nella foresta il film arriva alla sua parte migliore: la presentazione del mondo isolano e marino dei Metkayina: sontuoso, emozionante, scenograficamente da togliere il fiato.
Poi ricomincia la guerra o resa dei conti finali (almeno per questo capitolo) dalla durante percettibilmente infinita.
Centonovantadueminuti di frenetica guerra “d’autore”, con un intermezzo acquatico fiabesco, con un discorso sociopolitico in primo piano, e un altro molto intenso sui legami di sangue e spirituali, zeppo, o in questo caso zuppo di rumorosi grugniti e lotte testosteroniche, il tutto totalmente sprovvisto di leggerezza o di una sottile vena umoristica, … alla fine lo spettatore si alza con (un po’ di) stancante frustrazione.
Possiamo ribadire fino allo sfinimento che sia un film di pura avanguardia tecnologica, impressionante da questo punto di vista. Già il suo precedessore aveva ridefinito il concetto di CGI.
Ma se ci fermiamo a ragionare sulla storia in sé, per chi è abituato a vedere da quando è piccolo avventure di questo genere, ritroverà qui tanti snodi narrativi già visti, rivisti e rivisti ancora.
Come il primo film, del resto, che guardato in uno schermo normale di un cinema, in TV non parliamone, alla fine annoia, così anche Avatar: La Via dell’Acqua.
Esce oggi in versione 2D e 3D. Noi consigliamo vivamente la versione in 3D per immergersi completamente nella scenografia affascinante.
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