Il Padiglione Centrale ai Giardini inizia a colpo sicuro con il Leone d’Oro di questa 59. Biennale d’Arte: Katarina Fritsch che, coerentemente con la sua produzione artistica, presenta un pachiderma sotto la cupola di Galileo Chini. Si prosegue nella bellezza grazie alle sculture di Andra Ursuţa accerchiate dalle opere di Rosemarie Trockel. Le sculture stampate in 3D rappresentano la metamorfica unione tra esseri umani e oggetti, una sorta di poesia dedicata al caos quotidiano, accompagnata dagli atti sovversivi  intessuti da Trockel.

Cecilia Vicuňa

Proseguendo verso la biblioteca ASAC Biennale l’occhio si sofferma sulle opere di Cecilia Vicuňa, artista cilena che presta un dettaglio di un suo dipinto alla grafica dell’esposizione: un occhio posato su uno strumento musicale, il tema dell’occhio lo troviamo costantemente non solo nelle sue tele ma lungo tutto il percorso di mostra. Le immagini fantasiose dell’artista sono filtrate da una rete di fili sospesi di diversi materiali, intorcolati sempre da Vicuňa, pendono dal soffitto alla presenza silenziosa e severa di tre grandi sculture di cordame realizzate da Mrinalini Mukherjee. Nel giardino Scarpa le figure bronzee di Simone Fattal dialogano piacevolmente con l’edera cresciuta lungo i muri, lo sciabordio dell’acqua e le curve architettoniche.

Simone Fattal

Le capsule temporali restano un dilemma tra buona intuizione e risultato concreto. Riprendere in mano la storia dell’arte per dare il giusto riconoscimento ad artiste e artisti sommersi è un’operazione notevole e delicata. Tuttavia destabilizza entrare nella sala di “Corpo Orbita” e trovare medium come Eusapia Palladino che spostava i tavolini con il pensiero o Linda Gazzera, artefice di famose sedute spiritiche, accanto agli interventi di poesia visiva di Mirella Bentivoglio o alle operazioni sul linguaggio di Tomaso Binga.

Appesi alle pareti azzurrine (l’allestimento ha effettivamente il potere di trasportarci in una vecchia aula scolastica) di questa “mostra nella mostra” vi sono gli arazzi di Gisèle Prassinos, gli “approcci artistici singolari”di Mina Loy, la trascrizione di messaggi provenienti da forze extraterrestri di Milly Canavero… e inspiegabilmente le poesie concrete di Mary Ellen Solt o le riflessioni della spazialista francese Ilse Garnier.

Ovartaci

La sala successiva, una congiunzione tra lotte del passato e del presente che ruota attorno alla tematica gender, espone le creazioni di Ovartaci. I manufatti in qualche modo fungono da amarcord del “Palazzo Enciclopedico” di dieci anni fa, quando l’esposizione internazionale presentava un’arte fuori dai circuiti e libera espressione dell’individuo, spesso arte con connotati curativi.

Nan Goldin, così attenta a documentare l’universo LGBT newyorchese degli anni Ottanta, presenta Sirens – omaggio alla prima modella afroamericana: Luna Donayale. Il video costituito da frammenti di film è una riflessione sull’uso delle droghe, sugli stati di piacere che provocano e al contempo la devastazione a cui portano. Luna morì a 34 anni per overdose di eroina.

Pochi passi tra i collage di Sheree Hovsepian, il letto a molle di Bronwyn Katz e la performance di gruppo con mascherine fantasiose di Alexandra Pirici e si raggiunge “La culla della strega”, una capsula riuscita perché coerente. Al suo interno spiccano i dipinti di Remedios Varo, Leonora Carrington, Dorothea Tanning, Leonor Fini accompagnate da futuriste e surrealiste (Benedetta Cappa, Rosa Rosà, Valentine de Saint-Point, Nadja, Toyen, Claude Cahun, Florence Henri…) in lotta per l’emancipazione della donna.

Ulla Wiggen

La condizione femminile nel dramma delle mure domestiche è al centro della ricerca di Paula Rego, artista portoghese che realizza sculture in cartapesta e dipinti. Nella piccola stanza che custodisce i disegni de “Il latte dei sogni” di Carrington sono ospitate altre opere di Rego che ironizzano sulle fiabe della tradizione inglese per svelare i meccanismi di potere che la società inculca fin dalla giovane età, grafiche che controbilanciano la visione di crescita a latte e sogni.

All’improvviso avviene uno stravolgimento di percorso nella sala che proietta uno sguardo passato verso il futuro, dove i grandi bulbi oculari di Ulla Wiggen osservano il visitatore mentre segue le ricerche di Charlotte Johannesson e Lenora de Barros.

“Tecnologie dell’incanto”

Superato il trittico di sesso (il video incentrato sulla manutenzione delle sex doll di Sidsel Meineche Hansen), morte (le bare militari ricoperte di candele d’acciaio di Elaine Cameron-Weir) e cibo (il video risucchiante di Shuang Li) apprezziamo la delicatezza dei disegni fantasiosi di Birgit Jürgenssen così come la potenza del segno di Carla Accardi. L’artista romana è presente nel pantheon delle artiste italiane insieme a Marina Apollonio, Dadamaino, Lucia Di Luciano, Laura Grisi, Grazia Varisco, Nanda Vigo che illuminano la capsula  “Tecnologie dell’incanto” con le loro opere cinetiche-programmate, forse troppo importanti per occupare uno spazio così ridotto.

Hannah Levy

Per le giovani generazioni si apprezzano le sculture di Hannah Levy e Ambra Castagnetti, le tele colorate di Christina Quarles, gli esperimenti di Kaari Upson e Jacqueline Humphries, la malinconica poesia delle fotografie di Aneta Grzeszykowska.

Il Padiglione centrale, con il suo percorso labirintico, rappresenta sicuramente una sfida diversa rispetto all’arsenale ma, come le corderie, sostiene la figura dell’artista che si affaccia su un mondo caotico e continua a dipingere, scolpirlo, interpretarlo.