Andrea Pallaoro, classe 82′ trentino di nascita e americano per lavoro, porta in Concorso alla Mostra del Cinema Hannah, il suo secondo lungometraggio, dopo Medeas presentato nel 2013 nella sezione Orizzonti.
Girato in 35 mm e ambientato sulla costa belga – e primo capitolo di una trilogia che riguarderà il mondo femminile – Hannah racconta la storia di una donna che ha perso se stessa ed è in balia di lampi di ricordi e di un presente che si sgretola.
È inutile girarci troppo intorno, il film è tenuto in piedi grazie alla protagonista Charlotte Rampling che dà fisicità alle vicissitudini di questa donna. Tutto è concentrato sulle reazioni di lei. Alla sceneggiatura scritta da Orlando Tirado e dal regista non interessa approfondire il mondo esterno ad Hannah, interessa solo lo stato di perdizione emotiva in cui giace.
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Il marito viene arrestato, si intuisce quale possa essere la grave accusa, ma non viene mai detto esplicitamente; il figlio, adulto padre di famiglia, che ha fatto arrestare il padre, la respinge, si possono azzardare spiegazioni, ma sono solo ipotesi.
Hannah è tutto, troppo concentrato sulle emozioni che il film vorrebbe trasmettere allo spettatore. Forse il regista pretende troppo anche dalla Rampling, che, per quanto magistrale, non riesce a ridare al pubblico il dolore interiorizzato, la disperazione che lega questa donna alla sua vita di devozione spezzata. Hannah è un lungometraggio frammentario, noiosetto e un po’ compiaciuto di se stesso.