Tratto dal romanzo – in versione orginale il film ha lo stesso titolo – Les Choses humaines (2019, Le cose umane, edito in Italia da La Nave di Teseo) di Karine Tuil sceneggiato dal regista con Yaël Langmann, è un dramma incentrato su un caso di stupro, su come viene affrontato dalle famiglie coinvolte.
Il regista Yvan Attal “da padre di due maschi e una femmina” ha detto «di essersi identificato con tutti i personaggi e di aver desiderato di prenderne le difese». Non fatichiamo a crederci, perché il film si muove nelle zone d’ombra dell’imperfezione degli esseri umani.
Nella prima metà, Attal segue separatamente il presunto stupratore e la presunta vittima, mostrando quanto diversa sia la percezione e la traduzione di ciò che succede in base alle loro esperienze di vita ed emotività.
Alexandre (Ben Attal) è un brillante studente 22enne di Stanford, negli Stati Uniti, torna a casa, a Parigi, per partecipare alla cerimonia di consenga della Legion d’Onore a suo papà. Conosciamo padre (Pierre Arditi), noto presentatore televisivo mentre è in hotel, con unanuova stagista, e la madre (Charlotte Gainsbourg), famosa scrittrice, mentre è alla radio per partecipare a una discussione su un caso di stupro che coinvolge immigrati illegali.
La sera Alexandre va a cena a casa della madre e del nuovo compagno, Adam (Mathieu Kassovitz); c’è anche la figlia diciassettenne dell’uomo, Mila (Suzanne Jouannet). Dopo cena i due ragazzi vanno a una festa.
Una mattina Alexandre si trova la polizia alla porta perché una donna lo ha denunciato per stupro. La donna é Mila. Le due famiglie vanno in frantumi.
La terza parte del film si concentra sul processo, mettendo a punto un approfondimento di discussioni e punti di vista da far alzare il battito cardiaco dello spettatore, come in un thriller intenso e feroce.
Girato in un’inquadratura stretta e squadrata, si concentra sull’ ambiguità dei comportamenti. Nel far domandare allo spettatore “qual è la verità?”, è una storia destabilizzante.