Sin dai tempi del fortunato Nati in casa (2001) – primo tassello di un’avvincente trilogia sulla vita e sulla morte, che proseguiva con Sexmachine (2005) e Tanti saluti (2008) – Giuliana Musso è un’incontrastata regina del teatro-narrazione, quel filone cioè che ‘racconta’ in scena episodi piccoli o grandi del nostro tempo dopo aver svolto una capillare e accurata indagine documentale, sulla scia di maestri conclamati del genere come Marco Paolini e Marco Baliani, e risalendo fino al capostipite indiscusso Dario Fo. Il teatro-narrazione ha subito, nel tempo, una serie di modificazioni ed evoluzioni che ne hanno in parte cambiato l’approccio ‘oggettivo’ e ‘obiettivo’, suffragato dai ‘fatti’ di cronaca. Ma punto centrale di questa forma espressiva resta la maggior parte delle volte l’artista solo sul palcoscenico, normalmente spoglio o con una scenografia scarna ed essenziale. Basti pensare, in questo senso, a un’altra pluripremiata trilogia, quella di Saverio La Ruina, dove tre storie ‘singole’ e viste ‘in soggettiva’, cioè narrate in prima persona (Dissonorata, La borto e Italianesi), divenivano il volano per una riflessione a più ampio raggio su periodi bui e non troppo lontani del nostro passato.
Ma tornando a Giuliana Musso, dopo molti altri spettacoli da lei ideati e interpretati dal 2008 a oggi, ecco che ci presenta ora Mio eroe, un nuovo indovinato tassello del suo lavoro (che include sempre l’elaborazione drammaturgica, uno degli elementi irrinunciabili e preziosi di questa poliedrica artista della scena). Il tema questa volta è la ‘missione di pace’ in Afghanistan del nostro esercito (2001-2014), che ha causato la morte di cinquantatré militari italiani. Di tre di loro la Musso ci parla dando voce alle rispettive madri, in uno spettacolo rarefatto ed emozionante che si suddivide in tre grandi stazioni intervallate dalle musiche eseguite da Andrea Musto. All’inizio ci troviamo di fronte una donna dai tratti popolari, che utilizza una lingua con sonorità rotonde che richiamano l’emiliano: con pochi movimenti accennati la vediamo materializzarsi in scena nella sua fisicità semplice e dignitosa, mentre tratteggia il carattere, i valori, gli ideali di questo suo figlio perduto, narra incredula la trafila istituzional-burocratica con la quale apprende la sua morte, difende – nonostante il lutto che la consuma – una fede religiosa che l’aiuta a superare il dolore. Una caratterizzazione perfetta che raggela ed emoziona gli spettatori del veneziano Teatro di Ca’ Foscari a Santa Marta, affollato per l’occasione. La seconda mater dolorosa appartiene anch’essa, si presume, al ceto medio-basso dell’Italia settentrionale, e verosimilmente questa volta assume tratti e suoni più marcatamente veneti: al contrario del primo segmento, qui emerge la rabbia, che la spinge a inveire contro Gesù Cristo e Maometto, responsabili a suo dire non solo della morte del figlio ma dell’intera assurdità della guerra in questione come di tutte le altre. Qui si fa strada anche la speranza irrazionale che il proprio ragazzo sia in realtà ancora vivo e impiegato in una delle tante ‘missioni segrete’ di cui si sente parlare, in un’atmosfera verbale aspra e a tratti comica che appare meno efficace della precedente e forse andrebbe un po’ ripensata. La terza e ultima tranche raggiunge il culmine della complessità e suggella in modo esemplare uno spettacolo magnifico anche perché privo di alcun tipo di retorica, né sovranista e pelosamente patriottica, né ideologicamente e pedissequamente ‘internazionalista’ e antimilitarista. L’ultima madre è un’insegnante, parla un italiano corretto senza essere ipercolto, spiega le ragioni ideali che hanno spinto il figlio ad andare in missione, rivendica fieramente l’educazione non guerrafondaia che gli ha impartito, lamenta le generazioni di uomini caduti sul fronte che hanno puntellato la sua storia familiare. E ci rende palpabile l’angoscia quotidiana di chi aspetta un segno dai propri cari in pericolo in un Paese lontano e sconosciuto. Si scoprirà alla fine, con un piccolo colpo di scena, che è l’unica cui il figlio è tornato a casa sano e salvo. Giuliana Musso, ‘una e trina’, riempie la scena con la maestria delle grandi attrici e la dimensione etica che da sempre la contraddistingue.