Mia, aggettivo possessivo, nome proprio di donna anche, ma in quest’ultimo caso “Mia” di chi? Mia solo di sé stessa, non dei genitori, né di fidanzatini vari, ma a sedici anni la padronanza di sé stessi è un concetto troppo fluido da poter diventare un’armatura per affrontare il mondo.
Mia ha 16 anni, una stanza disordinata, due genitori pazienti, un gruppo di amici solidale. Quando nella vita di questa adolescente si intrufola il subdolo ventenne Marco a rivendicare il possesso di quel “Mia” (Mia, per sempre Mia), la vita di una famiglia si sgretola a cominciare dall’anima più fragile, quella innamorata.
Se il padre di Mia si infervora e arriva ad alzare le mani, la madre cerca di andare incontro alla figlia, ma è difficile far fronte alla violenza psicologica, alle minacce perverse di un criminale possessivo.
Scritto dal regista Ivano De Matteo con Valentina Ferlan, Mia è un film angoscioso perché sa descrivere con parole e immagini il dramma vissuto da un padre e una madre che non sanno come affrontare l’amore di una figlia che non riconoscono più.
“Ho una figlia di quindici anni e questo è stato il primo motivo per cui desideravo fare della sceneggiatura di Mia un film – racconta il regista – Sono un uomo. E questo è stato il secondo motivo.”
Cinematograficamente la storia a un certo punto prende una strada impervia difficile da percorrere. Dai due tossici che stazionano fuori dal luogo di lavoro del padre di Mia, a un finale un po’ troppo esagerato da “far west”, Mia allenta quella tensione spontanea che genera l’argomento urgente di cui tratta.
Resta ovviamente un film da far vedere soprattutto nelle scuole anche alla presenza di genitori, per discuterne, come un valido aiuto a decifrare e prevenire comportamenti e minacce violente.