Per la sua opera prima il regista e documentarista Edouard Bergeon racconta una storia che lo vede personalmente coinvolto.
Discendente di una famiglia di contadini, ha scritto insieme a Bruno Ulmer e Emmanuel Courcol una saga famigliare per dare voce alla realtà – drammatica – agricola francese e parlare della crudeltà (i casi di suicidi tra i fattori sono molti) di un ambiente ferocemente globalizzato negli ultimi decenni.
Si parte dal 1979. Pierre ha 25 anni quando torna dal Wyoming per ritrovare Claire, la sua fidanzata, e prendere le redini della fattoria di famiglia.
Vent’anni dopo, la fattoria si è espansa. Pierre e Claire hanno due figli adolescenti.
L’uomo, che aveva chiesto un prestito bancario per rilevare la fattoria del padre, non riesce a far fronte ai debiti che si accumulano, si sfinisce di lavoro e, nonostante l’amore della moglie e dei figli non riesce a stare dietro al mercato e alle imprese. Inizia un declino morale che lo porta a una tragica fine.
Con uno sguardo di personale e umano il regista, come dicevamo, si ispira alla storia di suo padre che per anni ha lottato per la sua fattoria, pagando poi un prezzo troppo caro.
La sceneggiatura approfondisce alcune criticità del sistema agricolo francese; nel dramma si sviluppa una narrazione/lezione su come le pratiche agricole dettate dalle multinazionali hanno schiacciato gli agricoltori, che, pressati dai debiti, senza alternative, non sono riusciti a far fronte alla loro stessa depressione clinica.
Nel nome della terra è un dramma cupo che pesa sul cuore e sullo spirito. Interpretato con sottigliezza e da Guillaume Canet che riesce incredibilmente a rendere la rabbia e l’impotenza del suo personaggio, il film sa descrivere da un lato la fine di un’era dall’altro sa denunciare un sistema disumano, che non può continuare.
Nel nome della terra esce il 9 luglio al cinema, distribuito da Movies Inspired.