A chi appartiene la street art?
Presentato in anteprima al Torino Film Festival e nelle sale a metà dicembre (solo 11 e 12) grazie a Nexo Digital, The Man Who Stole Banksy è un viaggio nel mondo di un misterioso street artist che sta scatenando dibattiti molto accesi sulle sue opere.
Noi, ringraziamo Banksy e speriamo che continui così!
Questo lungometraggio, stimolante, curioso, che sembrerebbe un documentario, ma in realtà è un film indagine, una matriosca di domande che generano altre domande anziché risposte, ha richiesto un lavoro di 6 anni. Tutto è iniziato da un viaggio in Palestina del regista, Marco Proserpio. Attraversando un check point tra Gerusalemme e Betlemme., a bordo di un taxi ha fatto conoscenza con il conducente, un omone palestratissimo che gli ha raccontato che aveva assistito alla rimozione di quattro tonnelate di muro con un’opera dell’acclamato artista.
Ed è qui che la storia è venuta incontro a Proserpio che era in cerca di un’idea per ritrarre i palestinesi come esseri umani, non solo come vittime.
Perché qui in gioco c’è tanto. Il documentario si basa su un’azione a dir poco radicale: la rimozione di un’opera d’arte da parte di privati; un gesto che ha finito per avere una serie di significati e conseguenze diversi in tutto il mondo: questioni relative all‘arte, al diritto, alla politica internazionale e all’etica. Non in Palestina, dove le priorità sono altre.
Ed ecco che allora qui si racconta la storia dello sguardo palestinese su un’arte di strada di matrice occidentale e sui messaggi che la Street Art veicola sul muro che separa Israele dalla West Bank. Ma è anche il racconto della nascita di un mercato parallelo, tanto illegale quanto spettacolare, di opere di Street Art prelevate dalla strada senza il consenso degli artisti.
Ripartiamo dal 2007. Banksy e la sua squadra si introducono nei territori occupati e firmano a modo loro case e muri di cinta. I palestinesi però non gradiscono. Il murale del soldato israeliano che chiede i documenti all’asino li manda su tutte le furie: passi l’essersi introdotto nei territori e l’aver agito senza nemmeno presentarsi alla comunità, ma essere dipinti come asini davanti al resto del mondo è davvero troppo. A vendicare l’affronto con un occhio al bilancio ci pensano un imprenditore locale, Maikel Canawati, e soprattutto Walid, palestrato taxista del posto. Con un flessibile ad acqua e l’aiuto della comunità, Walid decide di tagliare il muro della discordia. Obiettivo dichiarato: rivenderlo al maggior offerente.
Il film (la voce narrante è di Iggy Pop) alterna riprese fatte in strada in diversi paesi e interviste ad esperti –giornalisti, professori universitari, galleristi, avvocati– e a personaggi chiave del mercato parallelo della Street Art.
“Una testimonianza straordinaria che dà voce, per la prima volta, a Walid, lasciandogli la possibilità di spiegare la sua scelta di segare, per venderli, i muri offerti da Banksy al popolo palestinese, lasciando decidere al pubblico chi sono i buoni e i cattivi in questa storia, perché, come spesso accade, anche qui è solo una questione di punti di vista”.