TORINO – L’edizione numero 35 del TFF si apre con una notizia che non si vorrebbe sentire: eliminata la multisala Lux, quella più centrale, la più amata dal pubblico generico, quello che fa salire il botteghino. Certo, con un budget in continuo calo e tagliato del 22 per cento rispetto al 2016, ora arrivato a poco più di 2 milioni di euro, non si fanno i miracoli.
Però ci si chiede se in una città postindustriale come Torino non ci fossero spazi alternativi, casomai proprio in quelle periferie tanto lusingate dalla Sindaca Appendino, dove inventarsi una programmazione magari in un ambiente un po’ informale. Il recente esempio della settimana dell’arte contemporanea a Torino (Artissima & co.) avrebbe dovuto insegnare qualcosa: allestimenti vivaci e frizzanti in ex carceri (The Others fino al 2015), ospedali dismessi (The Others dal 2016), caserme in disarmo (Paratissima 2017)…
Laura Milani, presidente del Museo del Cinema alla Mole Antonelliana di Torino, imperiosamente assicura che “il festival non è in declino, ma anzi nel 2018 dialogherà con altri ambiti”. Una frase sibillina, che ricorda tanto quello “Stai sereno” prima della tempesta.
Eppure scorrendo il programma ci si rende conto che il lavoro scientifico di ricerca e di analisi delle pellicole è stato fatto con sapienza, cura, esperienza e, direi anche, amore: 15 film in concorso, tutti inediti in Italia e realizzati nel 2017 in altrettanti paesi: una selezione alla ricerca e alla scoperta di talenti innovativi. E poi ancora rassegne per un totale di 134 lungometraggi, 10 mediometraggi, 25 cortometraggi e tra questi ben 36 anteprime mondiali.
Non più madrine del festival, finalmente, bensì un caloroso benvenuta alla prima direttrice ospite della rassegna: dopo Gabriele Salvatores, Julien Temple, Paolo Virzì arriva una donna, e che donna: Asia Argento. Non solo figlia d’arte, ma anche lei stessa regista, attrice, sceneggiatrice e colta conduttrice televisiva. Anche donna combattiva, come ci hanno rivelato ultimamente le cronache a proposito del caso Weinstein. C’è da sperare che la accresciuta popolarità della già comunque famosa Asia faccia da traino a un festival che, così a corto di investimenti, rischia di avviarsi verso un mesto, immeritato declino.