La sezione Orizzonti di Venezia 74 prosegue il suo corso e introduce un altro esordiente nel mondo delle competizioni cinematografiche: trattasi questa volta dell’australiano Jason Raftopoulos che presenta West of sunshine.

Jim è un padre divorziato e disoccupato che è caduto preda della dipendenza per il giodo d’azzardo. Si trova dunque in un momento di capitale importanza per la sua vita, dovendo restituire a uno strozzino un ingente prestito in appena ventiquattr’ore, quando riceve dalla moglie la notizia che dovrà badare al figlio momentaneamente a casa da scuola. La situazione è delicata e potrebbe mettere in pericolo suo figlio.

L’esordio di Raftopoulos è semplice, genuino e relativamente solido: nell’ora è un quarto di durata non si perde in tentativi di virtuosismi pretenziosi né tantomeno si lascia andare al flusso emotivo che va a ritrarre. Con un approccio realista prima di tutto, il regista si concentra sui momenti chiave della vicenda senza tralasciare nessun attimo del breve lasso di tempo che occupa il film all’immaginazione ma al contempo evita molto accuratamente di focalizzarsi su quanto accade su un piano strettamente narrativo per mettere in scena il rapporto tra padre e figlio sul piano della scelta come parte costitutiva e funzionale in una relazione di amore inter-generazionale prima che paterno. La vera preoccupazione di Jim non è come porsi nei confronti del figlio, ma in che modo amare se stesso, cioè eclissarsi per fare il padre o continuare a cercare di affrontare le vecchie delusioni che ancora lo perseguitano.

Di fatto quello del padre è una rinuncia, compie un atto di abnegazione decidendo di lasciare che i fantasmi del passato continuino a tormentarlo pur di dedicarsi al figlio. Nella frammentazione sociale che si esplica anche sotto la forma di un ulteriore scontro generazionale Raftopoulos va celebrare i piccoli ma sempre importanti valori umani d’amore e cura. Esattamente come c’è cura da parte di quest’ultimo quando va a mettere in scena un’emotività e un conflitto non troppo semplici con uno stile diretto e quasi documentaristico. Nella fotografia quasi sempre natural e nel montaggio lento e invisibile il neo-regista trova due solidi punti di appoggio per portare sullo schermo un modello certo inflazionato, ma per sua stessa natura sempre sondabile. Ed è di fatto quello che Raftopoulos fa: sondare. Con calma e un’apertura allo spettatore rara in un esordiente, il regista riesce a trasmettere i sottintesi senza calcare la mano, lasciando che per una volta siano le immagini a parlare, salendo in cattedra, registicamente parlando, solo quando si parla di direzione attoriale, forzando visibilmente i suoi due protagonisti a interpretazioni magari non sempre perfettamente credibili, nei cambi di registro, nella trasposizione del dramma, ma di sicuro molto intense (Ty Perham, il ragazzino, incluso).

In conclusione, West of sunshine è un esordio con tutti i crismi capace anche di farsi ricordare, pur non privo di qualche sbandata leziosa. L’opera in sè certo non sarà originale né tantomeno brilla di luce propria in un qualsiasi ambito, e la storyline a incastro sullo spaccio lo rende più che evidente, ma sprigiona voglia di fare cinema, pur con tutte le problematiche del caso, con ogni fotogramma.