Intervista ad Angelica Leo

Incontro con la protagonista femminile di "Come Dio Comanda" di Gabriele Salvatores

Angelica Leo ritorna alle montagne di cui è originaria per passare le feste in famiglia, ci riceve in casa, entusiasta della sua esperienza con Salvatores e la troupe di Come Dio comanda.
Destino vuole che la location del suo primo film sia un paesaggio non lontano dalla sua terra e del tutto simile per forza e drammaticità della natura.

NSC: Angelica, come sei approdata al film di Salvatores?

A.L.: Ho finito la Scuola di teatro di Bologna e ho iniziato a lavorare con l’Elfo, il teatro che negli anni Settanta aveva formato Salvatores, Ferdinando Bruni ed Elio Capitani, e di cui Salvatores è ancora socio.
Ho fatto Il Giardino dei ciliegi e Gabriele mi aveva visto alla generale; c’era stato un equivoco, una cosa buffa: non lo avevo riconosciuto!
Quando cercava la ragazzina del film voleva una persona che dimostrasse sedici anni, ma con esperienza: il ruolo è cruento, e doveva essere tagliato. Ha provinato ragazze di quell’età, ma alla fine ha preso me, ed è partito tutto dall’Elfo: una grandissima realtà teatrale con cui sono ancora in scena.

NSC: Qual è lo stile di regia di Salvatores?

A.L.: Gabriele dà spazio all’attore, lo prende come materia viva e ti dà moltissimo. È una persona alla mano, che instaura un clima stupendo, ha un rapporto singolo ed umano con gli attori e non è mai dittatoriale.
Era un set difficilissimo soprattutto per la pioggia, ma l’ambiente nella troupe era bello, non c’era un atteggiamento ‘attoriale’ per merito della sua semplicità.
Loro ci sono stati due mesi e mezzo, io tre settimane, e rispetto agli altri ero forse più abituata alle temperature e a quella doccia fredda sotto la quale vivevamo di continuo a simulazione della pioggia!

NSC: Una sequenza notturna di trenta minuti con poche parole, molte azioni, tanta acqua, di cui è protagonista il tuo cappuccetto rosso braccato dal lupo. Raccontaci qualche curiosità su come è stata resa l’atmosfera cupa e piovosa del film.

A.L.: Quasi tutto il film è girato con la camera a spalla, che ha fatto sentire più liberi di muoverci noi attori, soprattutto nelle scene delle cadute e delle botte, che erano una cosa intera senza un “Ciak!” ad interrompere la fluidità dei movimenti.
È stata utilizzata una macchina della pioggia, che comunque scendeva fredda e vera!
Perché la camera legga la pioggia, deve piovere moltissimo.
Venendo dal teatro immagini che il cinema sia più finto, ma in realtà il fango è fango, e il bosco alla fine delle tre settimane era diventato una palude nella quale sprofondavamo con tutto il piede.


NSC: Come mai secondo te queste montagne si adattano a fare da sfondo a storie di emarginazione e di violenza, come era accaduto in La ragazza del lago?

A.L.: La location delle montagne del Friuli è stata usata perché la natura vi sprigiona una tale forza, e la montagna ha secondo me un potere di suggestione enorme, i suoi boschi creano l’effetto drammatico che era insito nella storia.

NSC: Come ti sei preparata al ruolo? Devo dire che anche da morta sei molto credibile.

A.L.: In questo caso mi hanno aiutato le lenti a contatto, che riparano l’iride e rendono più semplice non sbattere l’occhio. Inoltre se faccio un ruolo non sono schizzinosa, mi piace sporcarmi, anche essere brutta ed abominevole, e questo mi viene dal teatro…questo film è così perché Elio (Germano ndr) e Filippo (Timi ndr) sono persone così.
Sono stata molto fortunata a recitare con Elio, che è una persona semplicissima, e un grande professionista che studia molto, da cui ho imparato moltissimo guardando come si prepara ad un personaggio.
Al teatro i mezzi per prepararmi li ho, al cinema rischi il cliché, in questo caso del matto ritardato.
Ma per questa parte Elio non ha studiato i matti o i ritardati, ma proprio per evitare il cliché ha osservato gli animali, in particolare le scimmie, guardato documentari.


NSC: E tu cosa hai studiato?

A.L.: Mi sono preparata per essere un’adolescente. Ho osservato i miei fratelli e cugini, guardato film e serie televisive su MTV, per osservarne mosse e comportamenti, come parlano e si muovono. Alla fine mi sono integrata anche molto bene con i ragazzini del set!


NSC: Cosa ti ha dato il cinema rispetto al teatro?

A.L.: Sono due cose diverse e complementari. Al cinema devi avere un controllo dell’espressività che in teatro non hai, contenere tutto in uno sguardo. Ogni tanto Gabriele mi chiedeva di limitarmi, spingere meno la voce, che a volte sul palcoscenico è forzata in modo innaturale per raggiungere tutti gli spettatori in qualunque angolo del teatro si trovino.
Il cinema è diverso, più intimo, e nello stesso tempo richiede una grande preparazione per rapportarsi con una telecamera, c’è una temperatura emotiva più alta e realistica.
Tutti e due sono importanti, il teatro non è certo un’arte minore, ed esige i mezzi, la scuola, o comunque una grande esperienza: a teatro sei nuda, lo vedo come un rischio perché ci si mette continuamente in gioco, mentre al cinema è possibile ripetere una scena più volte.

NSC: Hai altri progetti cinematografici?

A.L.: Sto facendo dei provini, ho delle cose in ballo, ma al momento preferisco non parlarne per scaramanzia.

Foto a cura di Francesca Vieceli Copyright © NonSoloCinema.com – Francesca Vieceli