L’attrice e regista polacca Ewa Bukowska si addentra nei traumi della guerra. Ma la scelta che percorre, per analizzare i danni post traumatici di un conflitto, è insolita. Non è un soldato né un medico né un corrispondente di guerra il protagonista della sua storia, ma una giovane donna, Anka, sposata con un reporter.
53 Wars è ambientato in una tranquilla cittadina.
La guerra la si vede solo in tv. Anka ha lasciato a malincuore la sua carriera come reporter di guerra e cresce i due figli maschi mentre Witek documenta il fronte in Cecenia. Le giornate della donna trascorrono in attesa di una telefonata o quanto meno di notizie da parte del marito. Finché qualcosa, tra la paranoia e la schizofrenia, inizia a impossessarsi della sua mente.

Basato sul romanzo semi-autobiografico di Grazyna Jagielska, 53 Wars segna l’ ambizioso esordio alla regia per Ewa Bukowska. “Desidero seguire i miei personaggi e le loro emozioni e miro a tratteggiare interpretazioni che siano il più possibile credibili nella loro definizione psicologica. Il mio intento è di catturare l’attenzione del pubblico evitando facili soluzioni, invitandolo invece a porsi interrogativi e a formarsi un’opinione propria rispetto ai personaggi”.

Al di là dell’ottima interpretazione dell’attrice protagonista, Magdalena Poplawska, e della fotografia di Tomasz Naumiuk che riesce a illustrare le fasi distorte della mente della sua mente, c’è qualcosa di inverosimile nell’angoscia crescente di Anka. I nostri dubbi non riguardano la regia, solida e determinata. E’ la storia in sé che ci appare un po’ troppo borghese. Non siamo riusciti a vedere o leggere in Anka i danni e le conseguenze della guerra. Gli orrori dei conflitti vissuti attraverso una follia un po’ viziata, all’interno di una fortezza colorata di lego (che la protagonista costruisce con suo figlio) ci sono sembrati destabilizzanti. Perché la guerra è una cosa seria, brutale, disumana. Pensare di farla vivere attraverso Anka, specchio o riflesso di un’umanità insensibile?, ci sembra irreale.