Non ci si stancherebbe mai, di ascoltarlo, Ascanio Celestini. Che sia buffo o drammatico, l’arte affabulatoria conquista, ogni volta, come la musica del pifferaio magico. Dopo aver portato sul palcoscenico scemi di guerra e pecore elettriche, questa volta è di scena il lavoro: quello passato, quello presente, che c’è e non c’è, quello futuro, ancora tutto da immaginare.
Per arrivare a destinazione bisogna camminare, quel tanto che basta per rendersi conto di dove si è. Niente completi scuri, tacchi a spillo, poltrone vellutate: occorre destreggiarsi tra viaggiatori in partenza e in arrivo, guardia di finanza, valigie, controlli, traffico animato di vita propria. Siamo nel porto di Ancona, dove gli odori di mezzo mondo si fondono in un miscuglio indistinguibile, e le lingue più disparate si incontrano, sul molo rumoroso.
“Appunti per un film sulla lotta di classe” prende vita qui, negli stabilimenti della Fincantieri, dove il lavoro è di casa. Perché di lavoro si parla stasera, sul camion addobbato per l’occasione dove Celestini si presenta, accompagnato da tre ottimi musicisti (Roberto Boarini, violoncello, Gianluca Casadei, fisarmonica, Matteo D’Agostino, chitarra): quel lavoro per cui tanto si è lottato, in passato, che ora i padri vedono ritorcersi contro i figli, trasformatosi, o trasformato, da imprescindibile diritto a mostruoso dovere, cunicolo buio senza apparente via di fuga.
Di appunti, nel vero senso della parola, si tratta: perché lo spettacolo, omaggio ai cento anni d’impegno della Cgil, e a tutti quei lavoratori che al suo fianco sono stati per migliorare condizioni e regole contrattuali, come annuncia lo stesso Celestini, è ancora in fieri, in attesa di trovare una sua sistemazione definitiva. Frammenti, idee, illuminazioni, ricordi e trovate, forse a tratti poco omogenee, anche se cucite attorno allo spettro del lavoro che non c’è, o c’è, ma contratto, con tutti quei co.co.co e co.co.pro che, a nominarli, fanno sorridere, un po’ meno nel sentirsene imprigionati, legati ad una paga da fame, una bomba in tasca pronta ad esplodere, si, ma fra due, tre, sei mesi. E, sopra ogni co.co.co, al vertice piramidale dello sfruttamento mascherato da regolarità, il lavoratore del call center, agnello sacrificale del capitalismo, colui che, qualunque telefonata riceva, dal bambino che scarica gli insulti appena imparati, al maniaco notturno, al razzista, imbusta sempre gli stessi centesimi: ecco perché, quando chiamiamo, dopo qualche minuto, la linea cade, irrimediabilmente. Come la sua fiducia nel domani.
Celestini è dolcemente caustico, tristemente comico (pensando a quell’inferno dove verremo catapultati, costretti a cullarci, per l’eternità, nell’eternità dei nostri rifiuti terreni), severamente compassionevole (con tutti noi, piccoli comuni uomini, che viviamo per produrre e ci beiamo di comprare i prodotti tutti lucidi, visti in tv: fosse mai, che si possa diventare come quelli ricchi); in poche immagini, la realtà del nostro tempo, sempre più costretta e contrita, a tempo determinato e con la speranza di non ammalarsi mai, altrimenti sarebbero soldi lasciati nelle tasche del datore di schiavitù, viene scandagliata, esaminata, presentata al pubblico per quella è: realisticamente deprimente.
Non c’è un lieto fine, a questa storia: le lotte sindacali, ormai, possono poco, o nulla. E anche quando riescono ad arrivare nei punti giusti, al momento giusto, si rischia di perdere molto più di quanto si sia ottenuto: il posto, in cambio dei più sacrosanti diritti, lasciati sulla carta assieme alla dignità. Ci si incammina, alla fine, per le larghe strade della Fincantieri, con l’amaro in bocca. I padri, per i propri figli. I figli, per il proprio futuro.
Fabbrica, Teatro Stabile dell’Umbria,
Fandango, Associazione centenario CGIL
Appunti per un film sulla lotta di classe
uno spettacolo
di e con Ascanio Celestini
Musiche di Matteo D’Agostino
Suono e luci di Andrea Pesce
Violoncello Roberto Boarini
Fisarmonica Gianluca Casadei
Chitarra Matteo D’Agostino
www.ascaniocelestini.it