Nelle viscere nascoste di una città da cartolina, Uxbal è condannato a morire in breve tempo, per un cancro. Vive sfruttando il prossimo: compra dai cinesi merce che per strada fa vendere ai senegalesi e paga il pizzo alla polizia. Ama i figli, Ana e Mateo, che cerca di proteggere, e anche Marambra, sua moglie, la cui instabilità psichica interferisce col desiderio di stare ancora insieme.
Uxbal ha anche un dono, quello speciale di comunicare con i morti.
“Sono ferme le tue ciglia e fermo è anche il tuo cuore.”
Sullo sfondo è Santa Coloma, quartiere alla periferia di Barcellona che si è sviluppato negli anni sessanta per accogliere l’immigrazione interna di centinaia di migliaia di spagnoli di Extremadura, Andalusia e Murcia; immigrazione favorita da Franco nel tentativo di spezzare la forte identità catalana. Oggi, sono pochi a essere rimasti, gli scantinati e gli angusti appartamenti hanno nuovi inquilini: senegalesi, cinesi, zingari, rumeni. Una varia umanità, per lo più clandestina, che cerca qualcosa da fare per sopravvivere, e per mandare i soldi a casa; uomini e donne, schiavi alle macchine da cucire, che vivono nascosti e ammassati, che non possiedono nulla, e a cui è negata anche la propria intimità; ma sono anche portatori di un nuovo modo di essere del nostro mondo e, se messi in condizione di vivere e non di sopravvivere, potranno produrre nuove vibrazioni, di cui tutti beneficeremo.
Dopo i racconti spezzati nel tempo e gli intrecci del destino, senza più la collaborazione alla sceneggiatura di Arriaga, Alejandro Gonzales Inarritu si libera delle sovrastrutture formali e sceglie di raccontare una storia lineare nel tempo e nello spazio. Se in Babel la complessità si originava da un’articolata struttura narrativa alternata, in Biutiful è tutta interna alle ombre di Uxbal e a quelle che si riflettono sul quartiere di Santa Coloma. La città di Gaudì, lungo la Gran Via e attorno a Plaça de Tetuan, fa solo brevi comparsate, come spazio circoscritto, un transito per guadagno, dove gli ambulanti clandestini rischiano la vita, massacrati dalle cariche della polizia.
La centralità di Uxbal, resa straordinaria dall’interpretazione, anima e corpo, di Javier Bardem, si accompagna a un ritratto sociale minuzioso e articolato, complice la vivida fotografia di Rodrigo Prieto, che assorbe con un’intensità a tratti insopportabile, il degrado e la disperazione ripresi con una sapiente alchimia di distanza e vicinanza, stasi e movimento in un crescendo drammatico tra documentario e finzione. Accanto a Uxbal, sono la cangiante Maricel Alvarez, attrice di teatro messicana, scoperta quando ormai sembrava impossibile dare un corpo al tormento di Marambra, o Dyariatou Daff, Igé, lo spirito materno, la donna che porta in sé la salvezza, che nella vita fa la parrucchiera e ha una storia così prossima al personaggio che interpreta.
Mettere tutto a posto, prima della fine, è il consiglio di Bea, la sensitiva, la guaritrice che con lui condivide il dono.
Morire è un lusso da ricchi, chi conduce una vita precaria, chi ha dei figli ancora bambini, non può che essere disposto a tutto per mettere le cose in ordine, prima che sia tutto finito. Per tenere caldi i cinesi, ammassati in una gelida cantina, sono necessarie le stufette; ma dovendo scegliere, saranno certo quelle a gas, e le meno care ad essere acquistate: una necessità che si trasforma tragicamente in colpa.
Uxbal, personaggio elaborato in due anni di lavoro e magistralmente completato da Bardem, rappresenta una complessità che non è mai artificio; credibile agli inferi e tra gli angeli, perché in sé convivono gli opposti: è padre e figlio, é forza e debolezza, è generosità ed egoismo. Riflette il mondo in cui vive, complicato e dall’equilibrio fragilissimo. Il suo corpo forte che via, via s’indebolisce, si concilia, per necessità e senza apparente contraddizione, con una profonda compassione. E’ figlio del degrado, dell’abbandono, dell’assenza, ma è anche cuore e amore. La nuova linearità di Inarritu contiene una complessità elevatissima, ma sempre credibile grazie ad una costruzione graduale, originata da tasselli che non sempre si sommano nell’evidenza.
Accanto all’immagine, è rilevante lo spessore narrativo che assume la composizione del suoni: una partitura di musiche e rielaborazioni sonore, che evocano ciò che volutamente viene visivamente celato, allo scopo di mettere in evidenza emozioni profonde.
Alejandro Gonzales Inarritu, mette in scena la lucida bellezza del dolore, non risparmiando nessuno, neppure lo spettatore. Fonde nel suo dramma l’intima violenza della malattia alla violenza del sociale, lasciando lo spazio del finale all’amore autentico, spiraglio per ogni vita vissuta o persa.
“Quando una civetta muore sputa una palla di pelo dal becco”.
Una frase che passa come testimone, di padre in figlio, di figlia in padre. Un lascito e uno sforzo creativo dell’anima, per incontrare oltre la morte quel che nella vita è stato solo un pensiero ricorrente: un padre che ora sembra un figlio.
Titolo originale: Biutiful
Nazione: Spagna, Messico
Anno: 2010
Genere: Drammatico
Durata: 138′
Regia: Alejandro Gonzalez Inarritu
Sito ufficiale: www.biutiful-themovie.com
Sito italiano: www.cinema.universalpictures.it/website/biutiful
Social network: facebook
Cast: Javier Bardem, Blanca Portillo, Félix Cubero, Rubén Ochandiano, Martina García, Karra Elejalde, Manolo Solo, Eduard Fernández, Piero Verzello, Ana Wagener
Produzione: Cha Cha Cha, Focus Features, Mod Producciones, Universal Pictures
Distribuzione: Universal Pictures Italia
Data di uscita: Cannes 2010
04 Febbraio 2011 (cinema)