“CHUN-NYUN-HACK (BEYOND THE YEARS)” DI IM KWON-TAEK

Il dolore del canto

Fuori Concorso – Venezia Maestri
Dong-ho e Song-hwa sono fratelli solo perchè sono stati adottati dallo stesso uomo, Yoon-bong, un cantante fallito che girovaga per la Corea, tra un piccolo ingaggio e l’altro. Il vecchio padre adottivo ha cresciuto i suoi due figli riversando su di loro il suo sogno di diventare un cantante famoso; così alla piccola Song-hwa viene insegnato il canto, mentre al fratellino viene insegnato a suonare il tamburo tradizionale.

La situazione nella famigliola si fa sempre più pesante; ogni giorno che passa l’insistenza di Yoon-bong è sempre maggiore, e sempre più insopportabile per un recalcitrante Dong-ho, che vorrebbe poter passare del tempo con l’amata sorellastra senza dover fare esercizio in modo da raggiungere un sogno che non gli appartiene. Dong-ho scappa di casa ed entra in marina, la sua strada si divide da quella della sorella. La quale, nel frattempo, diventa cieca, e nessuno potrà toglierci il dubbio che sia stato il padre ad avvelenarle gli occhi per evitare un secondo tragico abbandono. Così, la seconda parte del film ci racconta gli sforzi di Dong-ho nel ricercare la sorellastra amata e perduta, quindi ritrovata per poi essere persa nuovamente. Il finale, che non ha nulla di catartico, aggiunge sentimento e amarezza a questa storia di un amore triste, impossibile e tribolato.

Im Kwon Taek, dopo 45 anni di onorata carriera, raggiunge quota cento film girati con un melodramma che risente di qualche alto e basso, ma che nel complesso rispecchia bene la carriera di uno dei registi popolari più longevi e produttivi al mondo. Perchè in fondo Im Kwon Taek è questo, un regista popolare che ha spopolato, si scusi il gioco di parole, in patria sfornando una serie impressionante di film drammatici, drammi sociali e storie umane e commoventi. Solo agli albori degli anni ’80 il grande vecchio del cinema coreano svolta verso delle scelte tematiche e stilistiche più impegnate. E finalmente, precisamente nel 2000, il giusto riconoscimento da parte della, anche lei, vecchia Europa: Chunhyang è il primo film coreano della storia presente nel Concorso ufficiale del Festival di Cannes. Per non parlare del 2002, quando Ebbro di Donne e di Pittura ottiene, sempre a Cannes, il premio alla miglior regia.

Passiamo a temi più attuali, ovvero il film in questione, voluto dalla Mostra del Cinema di Venezia nella sezione Venezia Maestri, fuori concorso. Un film che, come già sottolineato, procede ad alti e bassi. A una prima parte certamente di introduzione, ma oggettivamente lenta e noiosa, risponde una seconda parte incredibilmente intensa, che riesce a portare il film su ritmi più consoni a mantenere la veglia dello spettatore. La struttura narrativa è molto solida (il film è tratto da un romanzo di Yi Chung Jun, adattato dallo stesso scrittore e dal regista) e si basa su tanti piccoli flashback, alternati alla vicenda presente che vede Dong-ho tornare in un luogo dell’infanzia sua e della sorella, venire investito dai marosi dei ricordi e raccontare la sua esperienza a un rivale di gioventù. La regia è incredibilmente raffinata, quasi consapevole della propria bellezza, ed è l’unico motivo valido per rimanere in sala durante la prima mezz’ora. Tra i tanti importanti e interessanti temi trattati, oltre al più rilevante dell’amore impossibile fra i due protagonisti, e la classica e un po’ stereotipica vicenda del genitore insopportabile che riversa sui figli i suoi sogni di gioventù frustrati, c’è una bella riflessione sul canto, estendibile a tutta l’arte: solo la sofferenza, tanto quella fisica quanto quella emotiva, rende un essere umano un artista; non si può far suscitare emozioni in una persona senza prima aver perso il cuore e averlo ritrovato.

Titolo originale: Chun-nyun-hack
Nazione: Corea del Sud
Anno: 2007
Genere: Drammatico
Durata: 106′
Regia: Im Kwon Taek
Sito ufficiale:
Cast: Jae-hyun Jo, Jung-hae Oh
Produzione:
Distribuzione:
Data di uscita: Venezia 2007