DANIELE LUCHETTI: “NEL MIO FILM STORIE DI PERSONE”

Parlano Luchetti, Scamarcio e Germano, regista e interpreti di "Mio fratello è figlio unico"

Alla presentazione torinese di “Mio fratello è figlio unico”, in uscita nelle sale il 20 aprile, Daniele Luchetti spiega il suo film e i due protagonisti Elio Germano (Accio) e Riccardo Scamarcio (Manrico) raccontano il loro punto di vista.

Anteprima torinese di Mio fratello è figlio unico, ultima fatica di Daniele Luchetti, in uscita nelle sale il 20 aprile. Il regista e i due protagonisti, Elio Germano e Riccardo Scamarcio, arrivano puntualissimi e si sottopongono al rito delle interviste con una grande disponibilità e cortesia. Nessun divismo, nemmeno da parte della star della giornata, Riccardo Scamarcio, che sorride molto, firma autografi e si prepara ad affrontare le sue fan, ormai affettuosamente soprannominate “scamarcine”.

NonSoloCinema: Daniele Luchetti, in che cosa questo film si scosta dal libro “Il Fasciocomunista” di Antonio Pennacchi da cui è tratto?

Daniele Luchetti: Il film cerca di essere più emotivo del libro, e meno scanzonato. E non è un film politico, ma si limita a mettere in scena esseri umani che fanno politica, come un racconto tridimensionale, che non esprime alcun giudizio. Ho trasportato la fine del film a Torino, anziché a Milano come nel libro, perché Torino ha scorci molto diversi, angoli con sapore anni Settanta. Per esempio non abbiamo toccato nulla nel bar in cui è girata una delle scene più drammatiche del film perché era perfetto così. E poi Torino è stata toccata dal terrorismo, è una città di grandi industrie ed è anche una città accogliente per il cinema, con una Film Commission che per questo film ha fatto molto.

NSC: Nel film colpiscono due elementi: la colonna sonora e la perfetta ricostruzione delle atmosfere degli anni Sessanta e Settanta

Daniele Luchetti: La colonna sonora è di Franco Piersanti, con il quale abbiamo selezionato anche gli altri brani di Nada, Little Tony e soprattutto Chariot di Betty Curtis, del 1962, che ci ha aiutato molto a creare certe atmosfere sul set, dandoci la carica. Era importante mantenere un equilibrio tra pezzi che non fossero né troppo noti, né troppo inconsueti. Le canzoni non sono molte, ma sono usate in modo efficace e funzionale alla storia. Il titolo, invece, è stato scelto perchè il titolo del libro Il fasciocomunista non c’entrava più con quello che era diventato il film. Mentre eravamo alla ricerca del titolo, è spuntata davvero per caso dal mio iPod la canzone di Rino Gaetano. Non l’ho poi usata nel film perchè non volevo che funzionasse da suggello al film stesso.
Per quanto riguarda le ambientazioni mi sono documentato molto, ma ad un certo punto avevo il terrore di fare un film di “modernariato”. Quindi ho chiesto alla scenografia di darmi oggetti, costumi, pettinature che fossero compatibili con l’oggi, perché questo è un film sul passato, ma con lo sguardo di oggi. L’epoca c’è ma è tra le righe e intorno ai personaggi e questo dà più credibilità alla storia intera perché non è esibita.

NSC: Una delle caratteristiche del film è di aver girato usando particolari accorgimenti, quasi un nuovo modello di regia…

Daniele Luchetti: Ho cercato innanzitutto la freschezza e la naturalezza. Ho chiesto agli attori di non usare trucchi e gesti convenzionali a cui si ricorre quando si è insicuri e li ho lasciati liberi sul set, chiedendo per esempio al direttore della fotografia di illuminare tutto a 360° sul set. Io mi sono dato il compito di osservare quello che accadeva e di direzionarlo secondo il disegno del film. Tecnicamente ho girato spesso senza provare e con più macchine da presa, cercando di catturare campo e controcampo allo stesso tempo, come se stessi girando una cronaca in diretta.

NSC: Elio Germano e Riccardo Scamarcio, qual è il rapporto con i vostri personaggi?

Elio Germano: io ho curato molto la preparazione perché è il cardine del mio lavoro. Il modo in cui Daniele ha girato ci dava molte opportunità perché qui la macchina da presa era al nostro servizio ed eravamo liberi di esprimerci; così il film è diventato più carnale, più epidermico. Sul set è stata fondamentale la forte coesione con tutta la troupe. Un film del genere non si può fare se non c’è una volontà comune che riguarda tutti: il fonico, l’operatore, il microfonista, il direttore della fotografia… Tutto questo contribuisce a creare un legame e quindi gioia di stare sul set, creando aderenza al progetto che porta ad una sincerità che a sua volta rende un film di qualità. Per quanto riguarda Accio, lo si ama perché mostra il suo essere sbagliato, ma a me personalmente piace vederlo sullo schermo, perché sta al mondo in un modo che non mi piace, è come un bambino che si maschera da persona violenta, che cerca affetto. E poi nel film c’è molta fisicità, nel mio caso anche con il giovane Accio (Vittorio Emanuele Propizio NdR) con cui ho dovuto lavorare molto e quindi ci siamo picchiati tantissimo… Ma è stato interessante il lavoro con lui perché ho dovuto confrontarmi con l’approccio istintivo di un ragazzino che non ha tecnica ma la naturalezza della sua età.

Riccardo Scamarcio: Anche per me è stato fondamentale il rapporto con Lele, che si è trasformato in un gioco e ha rotto la distanza tra persone che non si conoscevano. In fondo il nostro lavoro è fatto molto di fisicità e questo portarla in superficie ci ha permesso di cavalcare quello che la scena stessa ci suggeriva. Io non ho scelto il personaggio, avevo voglia e piacere di fare questo film e di conoscerlo strada facendo. Io di solito amo molto i miei personaggi, e amo Manrico più di altri, perché è un egocentrico, un po’ narciso, che sbaglia e cerca giustificazioni ai suoi errori, come fanno tutte le persone quando sbagliano, anche se in modo inconsapevole. Lavorando con pochissime prove prima di girare spesso era la scena stessa che ci suggeriva delle strade. Rivedendo il film mi sono accorto che ci sono elementi che non avevo considerato e che mi hanno sorpreso, come se il mio personaggio vivesse di una vita propria che non avevo prestabilito.

NSC: In quale modo si esprimeva la vostra libertà di azione sul set?

Riccardo Scamarcio: Per esempio nella scena iniziale, che non era prestabilita, ma quando mi sono visto vestito in quel modo, pettinato con la riga da un parte, mi sono sentito più piccolo, più arrabbiato e mi è venuto spontaneo chiamare Accio che se ne andava sul pullman. Il chiamarlo non c’era nella scena, ma la nostalgia e la rabbia che provavo in quel momento sono vere, non ci sono emozioni da attore.

Elio Germano: Nel mio caso potrei citare la scena in cui ballo e sono “un uomo completo” mi è venuta in mente dopo aver guardato un film la notte prima di girare, l’ho proposta a Daniele, l’ho fatta ed è dentro il film.

Riccardo Scamarcio: Poi c’è la scena del conservatorio, una giornata meravigliosa, ed era tutto vero: 350 comparse, l’orchestra vera che suonava, il tenore che cantava per davvero… e poi i fascisti che arrivano.

Fuori dal cinema torinese, comincia il lento stillicidio dell’arrivo delle scamarcine a caccia di autografi. Ma forse, andando a vedere questo film, qualcuna di loro potrebbe innamorarsi di Elio Germano…