La trama tratta di una storia d’amore tra un infermiere in una casa di riposo e un vecchio degente che non si arrende alla morte con il sogno di rivedere ancora una volta l’Oceano Pacifico, motivo per il quale Lake (il protagonista) e Melvin (il vecchio) intraprenderanno un lungo viaggio fuggendo dall’ospizio. Lo sbocciare di questo amore porterà il giovane protagonista (interpretato da Pierre-Gabriel Lajoie) a lasciare la propria fidanzata (Katie Boland), una ragazzina mai cresciuta invasata da miti femminili definiti rivoluzionari che inserisce in una ristrettissima lista di persone da conoscere.
L’intento del regista è quindi quello di affrontare un tema tabù all’interno della nostra società cercando così di innovare un genere come quello della commedia amorosa ormai imprigionato sempre nello stesso schema narrativo. Tentativo fallito di fronte alla trama, appunto noiosa e omologata, e alla scelta di alcune inquadrature che accentuano la potenza di momenti definiti chiave ma che in realtà si rivelano privi di significato (vedasi a esempio i due primi piani che accompagnano i baci appassionati dei due protagonisti).
Nella trama, infatti, troviamo tutti gli espedienti tipici della commedia d’amore: la crisi con il partner precedente, la scoperta di sé e di quello di cui si ha bisogno veramente, il trovare il grande amore uscendo dalla banale routine e infine la fuga d’amore per la realizzazione dei propri sogni insieme.
Il regista, nell’incontro con il pubblico al termine della proiezione, ha definito il film “romantico”. Questo termine viene usato a sproposito e perde di significato in una società contemporanea ormai accontentata solo dalla materia. Il concetto di romantico è diventato sempre più uno stereotipo legato all’amore verso una persona o, in casi estremi, verso una cosa ed espresso attraverso un atto fisico in troppi casi privo di scopo. Intendiamo questo concetto come qualcosa che, invece, dovrebbe indicare un forte legame trascendentale con la natura, realizzata in un’identificazione di sé con essa attraverso il raggiungimento di una consapevolezza del se stesso che riconosca il nostro essere piccolissima parte del mondo rendendoci in grado di vivere in armonia con esso.
Un unico momento è interessante nell’intera pellicola: quando Lake ritrae i corpi e i volti degli anziani pazienti attraverso degli schizzi a matita sul suo blocco note. Risultano questi schizzi fondamentali in quanto costituiscono una definizione di eternità palesata dalla freschezza del gesto del ragazzo. Quindi circoscrivibili all’interno di un movimento ideale per rinnovare e dare nuova vita a quegli essere umani ormai rassegnati alla morte e votati alla sofferenza dell’essere rinchiusi in una casa di riposo con poche cure e attenzioni.
Attimi che comunque non permettono di cambiare giudizio sul film in quanto privi di un effettivo ruolo attivo: usati, in modo riduttivo, come espediente affinché la ragazza scopra chi si cela “veramente” dietro il suo ragazzo. Insomma, l’ennesimo strumento nelle mani materiche del regista.
Abbiamo sentito invocare Bruce LaBruce come un rivoluzionario ma sembra che sia tutto tranne che un innovatore.
Titolo Originale: Gerontophilia
Regia: Bruce La Bruce
Paese: Canada, Francia
Anno: 2013
Durata: 85′
Interpreti: Walter Borden, Katie Boland, Pier-Gabriel Lajoie, Nastassia Markiewicz, Mélodie Simard, Marie-Hélène Thibault, Yardly Kavanagh, Jean-Alexandre Létourneau, Rosalie Simard