I Beady Eye in concerto a Milano

I Beady Eye infiammano l'Alcatraz

Pura euforia nonostante la pioggia battente è quella che si respira sin dal pomeriggio fuori dai cancelli dell’Alcatraz in occasione dell’unica data italiana dei Beady Eye.

Ragazzi bagnati fradici, ombrelli di ogni colore e tanti cori regalano un po’ di vita ad una via Valtellina assopita da un tempo che suscita pigrizia. Un coro su tutti primeggia, l’inno di Mameli, quasi fosse un antipasto di ciò che inaspettatamente si sarebbe visto durante il concerto.
Sono da poco passate le 20 e sul palco fanno capolino gli Hacienda, cinque ragazzi della periferia di Firenze, con una manciata di buone canzoni in stile indie tratte dall’album di esordio Conversation Less. Lo show passa veloce complice anche il fatto che chi è nella “fossa dei leoni” è già alle prese con l’istinto di sopravvivenza istigato da una folla a tratti eccessivamente fuori controllo.

Nel palazzetto c’è aria di grande attesa. Guardando il palco essenziale e con poche luci si fatica a credere che dopo tutto chi ci salirà su ha vent’anni di esperienza alle spalle e oltre settanta milioni di dischi venuti in tutto il mondo; potremmo definirlo un vero atto di umiltà da parte di un gruppo che è sempre stato additato come arrogante e presuntuoso. Riflessioni a parte, si percepisce ovunque l’adrenalina e la tensione che ti assalgono appena prima di un grande evento, c’è chi urla ai tecnici di sbrigarsi perché le 21 sono passate da un po’. Eccoli accontentati. Si spengono le luci, parte una intro che non è coinvolgente come la vecchia Fuckin’ In The Bushes, ma non importa.

Entra la band, Liam si avvicina al pubblico, sembra un gigante. È lui a fare il primo omaggio al pubblico inneggiante presentandosi con il tricolore celebrativo per i 150 anni dell’unità d’Italia a mo’ di mantello che terrà su per tutto il concerto come se fosse un vero italiano, come se fosse uno di noi. Dopo i saluti si parte subito con Four Letter Word e come prevedibile è il delirio che prosegue con l’altrettanto incalzante Beatles And Stones; si inizia a tirare un po’ il fiato con quello che sarà il prossimo singolo in uscita Millionaire e con For Anyone cantate da tutti dall’inizio alla fine. Il pubblico si scatena di nuovo con l’allegra The Roller, mentre una marea di mani al cielo accompagna il ritornello di Wind Up Dream. Un misto di cori e pogo accolgono Bring The Light e Standing On The Edge Of The Noise prima di lasciare spazio al momento più intenso e commovente della serata di Kill For A Dream dedicata da Liam al Giappone devastato dal terremoto e dallo tsunami. Il sorriso ritorna con la salterina Three Ring Circus suonata magistralmente dal trio a corde Archer-Bell-Wootton, per poi passare al classicone The Beat Goes On. Man Of Misery presentata in una versione bella energica e molto coinvolgente viene dedicata a chi indossa abiti Pretty Green, mentre dà i brividi ancor più che nella versione album l’interpretazione di The Morning Son che chiude la prima parte dell’esibizione.

Dopo la breve pausa si arriva alla vera chiusura con l’esplosiva cover di Sons Of The Stage dei World Of Twist in cui la band ci mette davvero l’animo, Chris Sharrock con la sua batteria in primis, lanciata da Liam con i complimenti al pubblico che ricambia facendosi sentire alla grande nonostante il pezzo non sia dei loro beniamini.
Sussulto conclusivo per i fan della prima fila quando il tanto acclamato Liam scende dal palco per salutare. Il concerto questa volta è finito per davvero. La band lascia alla spicciolata la scena, le luci rosse illuminano la scritta Beady Eye sul maxi schermo, ma alla fine l’impressione che si ha è una sola, il nome sarà pure diverso ma sono sempre loro, i vecchi cari Oasis.

SETLIST:
Four Letter Word
Beatles And Stones
Millionaire
For Anyone
The Roller
Wind Up Dream
Bring The Light
Standing On The Edge Of The Noise
Kill For A Dream
Three Ring Circus
The Beat Goes On
Man Of Misery
The Morning Son
Sons Of The Stage