INTERVISTA A TOM FORD

Ma perché nessuno si sogna di dire che Degas ha dipinto troppe ballerine?

“A Tom Ford, per aver riunito, nella sua ricerca estetica, il Cinema, la Moda, il Design in un’unica forma d’arte”.
Recita così la targa onorifica che il Comune di Milano, attraverso il suo Assessore alla Cultura, Massimiliano Finazzer Flory,
ha consegnato a Tom Ford, epifania della moda.

L’occasione che ha messo in moto quest’evento è un altro evento: l’uscita nei cinema di A single man, il primo film di questo attento artista, stilista provocatoriamente e visionariamente concreto.
A single man è stato uno dei film più attesi della passata edizione della Mostra del Cinema di Venezia. E la Coppa Volpi a Colin Firth, protagonista maschile del film, è solo una delle meritevoli manifestazioni di apprezzamento di quest’opera prima.

Tom Ford è un creativo, un esteta disinvolto, che ha saputo giocare con l’intuizione, sfidare l’autorevolezza delle passerelle e si è permesso il lusso di trasformare la concezione dell’immagine, dando tangibilità alla fatuità. Questa non vuole essere un’ode a Tom Ford, ma semplicemente un’osservazione verso i molti che hanno definito il suo film, sì bello, ma eccessivo nell’estetica. Ecco, sarebbe come dire che Degas ha dipinto troppe ballerine.

Insomma, stiamo parlando di Tom Ford, che dopo aver ridato lustro alle case di moda Gucci e Yves Saint Laurent, nel 2004 ha lasciato il gruppo Gucci e ha fondato la sua casa di produzione cinematografica, Fade to Black, e, ora, debutta nelle sale con una storia prepotentemente commovente.
Quest’uomo, nato ad Austin, Texas, cinquant’anni fa, ha avuto l’ardire di proporre sul grande schermo, come suo primo film, una storia tratta dal libro Un uomo solo di Christopher Isherwood (edito in Italia da Adelphi), che lui, parecchi anni fa, conobbe di persona.

Quando ha letto il libro per la prima volta e cosa ha attratto la sua sensibilità?

Lessi per la prima volta il libro di Isherwood all’inizio degli anni 80 e rimasi toccato dall’onestà e dalla semplicità della storia. Quello che mi ha colpito è la trama profondamente spirituale, narra di un giorno della vita di un uomo che non riesce a vedere il futuro. È un racconto universale su cosa vuol dire affrontare l’isolamento che proviamo tutti e sull’importanza di vivere nel presente e comprendere le piccole cose della vita che in realtà sono le grandi cose della vita.

Quando ha capito di essere pronto a girare un film tratto da questo libro?

Sono convinto che nella vita ogni cosa abbia un momento preciso e un suo tempo. Non nascondo che avrei voluto realizzarlo parecchi anni fa, ma non avevo la serenità giusta. Quando sono stato più sicuro di me, ho capito che era arrivato il momento giusto per questo progetto. Tre anni fa, dopo aver cercato il progetto giusto da sviluppare per il mio debutto sul grande schermo, mi resi conto che tornavo spesso a pensare a quel romanzo. Rileggendo il romanzo di Isherwood a questo punto
della mia vita, mi sono reso conto che era un libro scritto dal vero io, sul falso io. Christopher Isherwood era uno studioso di Vedanta e questo è molto evidente nel romanzo. È incredibilmente spirituale e parla della fatica che si prova a vivere nel presente. È molto personale, ed è un’espressione di un lato del carattere che molta gente non conosce.
Certo ho applicato dei cambiamenti rispetto al libro, ma perché il cinema ha un linguaggio diverso. A single man è un monologo interiore, in contrasto con quello che accade all’esterno. Ho inserito l’idea del suicidio per far rivivere a George la sua ultima giornata e riscoprire il passato.
E ho realizzato un film che parla di un amore e di una perdita.

Lei ha scritto anche la sceneggiatura di questo film, com’è stato? E quanto c’è della sua esperienza personale?

C’è molto di me nella versione di George. Questa sorta di crisi spirituale di mezz’età viene a molti. Io ho ottenuto molto nel mondo materiale… già da giovanissimo… sicurezza economica, fama, successo professionale. Avevo una vita piena a livello personale, con un compagno meraviglioso da 23 anni, due cani fantastici e tanti amici, ma in un certo senso ho perso la via. Quando sei uno stilista, passi la vita nel futuro, disegnando collezioni con vari anni di anticipo sulla vendita. La nostra cultura ci spinge a credere che tutti i nostri problemi possono essere risolti con cose materiali. Avevo completamente trascurato il lato spirituale della mia vita.
Ho scritto circa quindici sceneggiature prima di giungere alla stesura che mi soddisfacesse di più. Ora posso dire che le prime erano veramente orribili. Mentre scrivevo ho cercato di accentuare gli aspetti che mi identificavano di più in lui. Perché anche io a un certo punto della mia vita, come George, sono stato incapace di guardare al futuro. Dopo che ho lasciato Gucci non sapevo che cosa avrei fatto. E in George c’è molto del mio vissuto, delle sfumature che hanno contraddistinto quel periodo della mia vita.

Esiste una qualche analogia tra il mondo della Moda e quello del Cinema?

È vero che sono due cose, due forme d’arte, diverse. Ma trovo una certa analogia tra di loro. Hanno un processo di visione che è fondamentale. Nel mondo della Moda come in quello del Cinema è importante comunicare questo tuo progetto all’equipe che lavora con te. E non basta solo comunicarlo, ma occorre coinvolgerla e guidarla nel creare e realizzare questa tua passione. Ecco, trovo che ci sia un’analogia nel processo creativo tra cinema e moda.

Lei, nella sua carriera, ha messo insieme quattro forme d’arte: Moda, Design, Cinema e Letteratura. Ma nel suo cuore quale gerarchia occupano?

Io amo costruire, amo creare. Nel mio cuore queste arti sono tutte allo stesso livello.
Quando ho lasciato Gucci, mi sono reso conto che non avevo più una voce per esprimere, per reagire a quanto vedevo nella società.
Per me, esprimermi è essenziale. E mi piace molto questo momento della mia vita che sto vivendo, perché posso esprimermi in queste quattro forme. Mentre penso al prossimo film, continuo a disegnare moda…

Come è stato lavorare con Colin Firth e Julianne Moore?

Prima di tutto, devo dire che il merito di essere riuscito a lavorare con loro è tutto della sceneggiatura del film. Questo film ha avuto una gestazione lunga, di tre anni e mezzo. È stata la sceneggiatura che ha convinto Colin e Julianne, che già conoscevo, a prendere parte a questo mio progetto. Julianne Moore è stata la prima a ricevere la mia sceneggiatura e, quando ha accettato, le ho detto che era stata veramente gentile. E lei e mi ha risposto “Non posso permettermi di essere gentile. Voglio fare questo film, perché sarà un bellissimo film.”
Julianne era incredibile sul set. Stava magari chiacchierando con Colin
finché non dicevo ‘azione’ e a quel punto parlava subito con il suo accento inglese, era nel personaggio. Lo faceva con una facilità… non si sa mai come si prepara un attore nella sua mente.
Ho costruito una nuova Charley rispetto a quella del libro è un miscuglio
delle mie amiche e, a dire il vero, mia nonna. Ho anche creato un nuovo passato per George e Charley per illustrare il rapporto che io ho con varie donne nella mia vita. La Charley del signor Isherwood era meno complessa e sicuramente meno attraente. I nostri personaggi principali stanno attraversando un momento di cambiamento nella vita. Charley sta vivendo una crisi di mezz’età proprio come George, e anche lei non riesce a vedere il proprio futuro.
Sono stato onorato di lavorare con due attori così bravi.
Colin è un grande nel film. È un attore che ha una distanza esteriore, che, forse, è una riservatezza, mentre è una persona romantica, seria, emozionante e riflessivo. Ed era l’attore ideale per questo personaggio complesso. Incarnava alla perfezione George, come qualcuno che attraverso questa sua eleganza cerca di tenersi in piedi, mentre interiormente vive una disperazione.

Come è stato accolto a Hollywood un regista che viene dal mondo della moda?

C’è un detto a Hollywood “possono essere gentili con te fino alla morte”.
Quando è iniziata a circolare la voce che volevo realizzare un film, avevano tutti una gentilezza sarcastica, tutti felici, carini, che offrivano sostegno.
Le persone che conosco, ora che ho fatto il film, mi chiedono come ho vissuto quella leggera presa in giro e se continuano a farlo. Ma non credo… spero!!!

Quali sono gli autori che ama, quelli a cui si è ispirato?

Non potrei mai fare, non ne sarei capace, una lista dei dieci film che più mi hanno appassionato. Come amante del Cinema, partirei dagli autori del Cinema Muto… sarebbe troppo difficile.
Amo in particolar modo un film italiano di De Sica: Umberto D, poi Antonioni, Kubrick. Un film recente che ho amato molto è Lo scafandro e la farfalla di Schnabel. Di certo Hitchcock ha avuto una maggiore influenza, ho subito il suo impatto forte del senso visivo. Certo è che questi autori operano su di me in senso inconscio.
Riuscireste meglio voi a cogliere queste influenze su di me.

Foto Cover a cura di Romina Greggio Copyright © NonSoloCinema.com – Romina Greggio
Altre foto a cura di Ilaria Falcone Copyright © NonSoloCinema.com – Ilaria Falcone