Un tempo non ben precisato, una diapositiva aperta su sei attori – o, meglio, tre coppie – e due microfoni, complici di un moltiplicarsi di denaturate voci amplificate. Questo il primo colpo d’occhio che si offre agli spettatori del Gabbiano di Cechov nella versione di Martin Crimp (vincitore del Premio Ubu 2005 come Migliore novità straniera), in scena dal 21 aprile al 10 maggio al teatro Litta di Milano, diretto da Sandro Ma bellini
Il dramma, vede personaggi con indosso abiti appartenenti a contestualizzazioni diseguali, uniti in uno spazio che sarebbe dovuto essere vuoto, se non fosse per la presenza di una vistosa cassa audio sulla cui utilità ci si potrebbe interrogare a lungo, usata grossolanamente da Kostja nell’ultimo atto per bloccare una porta inesistente. I linguaggi recitativi sembrano muoversi in direzioni differenti, e non ben congeniate: l’immagine grottesca riportata dall’Arkadina, male si lega ad un realistico Trigorin che sale sul palco dalla platea, forse cercando uno sterile colpo di scena. Inoltre, il continuo riferirsi al pubblico, e lo sguardo quasi catalizzato in direzione frontale, rende ancor più statica una scena essenziale. Trasversalmente, dominano la scena una serie di trovate registiche, alquanto inefficaci e distraesti, come l’umanizzazione del gabbiano, ritratto in un lungo e monotono playback, o la svestizione di Kostja e quella di Nina nell’ultimo atto, interessante ma priva di ogni peso drammatico.
Lo sguardo d’insieme, si chiude su personaggi fissi nei loro drammi, e privi di una completa evoluzione, tanto che ci si potrebbe chiedere perché Kostja sia innamorato di Nina, come sia possibile che Nina non abbia rilevato alcun cambiamento nonostante le tragedie vissute negli anni che l’hanno separata da Kostja, e soprattutto sconcerta l’aridità del processo che porta Kostja a suicidarsi nonostante nel mondo rappresentato in scena non si abbia alcuna evoluzione drammatica.
Fa ancora male sentire la grigia declamazione del monologo di Nina. Ironia della sorte, un sospiro di drammaticità si acquisisce durante gli applausi, dove il palcoscenico, perennemente illuminato da una luce fissa e dura, modifica la sua illuminazione e rende lo spazio, finalmente, interessante e problematico.
IL GABBIANO Di Anton Cechov
Versione di Martin Crimp – Traduzione Leslie Csuth – Direzione Sandro Mabellini
con Donatella Bartoli, Elisabetta Ferrari, Mariano Nieddu, Alberto Onofrietti, Roberta Rovelli, Paolo Summaria
Revisione drammaturgica Gian Maria Cervo – Found footage sound Giuseppe D’Amato -Costumi Cristina Gaetano – Assistente alla regia Lisa Momenté