Per chi non la conoscesse (cosa plausibile), Josephine Foster è una cantautrice indie-folk, polistrumentista e insegnante di canto proveniente dal Colorado.
Dal 2000 ha pubblicato nove dischi, l’ultimo dei quali s’intitola Blood Rushing (2012). La sua discografia è caratterizzata dalla contaminazione progressiva delle musiche popolari di vari paesi: dal blues delle terre americane al folk d’origine iberica, dai lieder di tradizione tedesca alla psichedelia (che è universale). La cantautrice è approdata in Italia per cinque date del suo tour, la prima della quali si è svolta al magico Teatro Fondamenta Nuove di Venezia.
In una bellissima cornice scenica, Josephine è salita sul palco insieme al marito e chitarrista Victor Herrero, ad Ailbhe Nic Oireachtaigh (viola) e ad Alex Neilson (batteria). L’ambiente sonoro creato dai quattro provoca un grande impatto emotivo. Gioia e malinconia si danno la mano e si nascondono dietro esili note che possiedono l’intensità di un’orchestra. La profondità delle storie delle sue canzoni portano con sé un tono aulico, che riporta all’immaginario dei nativi americani. La maggior parte del materiale eseguito è estratto da l’ultimo disco Blood Rushing. Child of God è la canzone più inconsciamente pop che la Foster ha eseguito; Blushing, oltre a contenere il titolo del disco, corrisponde all’alter ego di Josephine; mentre in Panorama Wide, colonna sonora ideale per un film spaghetti western, la voce raggiunge cime irrangiungibili; Geyser, finalmente dà la possibiltà a Victor Herrero di mettere mano alla chitarra elettrica senza indugi. La voce della Foster è inconfondibile, con molte sfumature e di un’intensità toccante, con un’impostazione accademica da soprano che la rende unica nel suo genere.
Il concerto si muove senza sosta tra l’austero e l’occulto, creando un’esperienza ultra-temporale. Il suo approccio al folk psichedelico è fatto di pochi accordi di chitarra, allo stesso tempo minimalista e caleidoscopico, dove la visione delle cose avviene in controluce. Nel suo modo di suonare e di cantare c’è una leggera instabiltà d’animo che rende l’armonia soffice e tormentata, all’interno della quale la ritmica, la melodia e l’improvvisazione crescono ogni volta di pari passo.
Apparentemente conclusosi il concerto, Victor Herrero e Alex Neilson decidono di risalire sul palco per concedersi un solo free-jazz che frantuma, nel giro di tre minuti, l’aurea sensoriale creata nell’ora e mezza precedente. Si sa, l’ego del Musicista è in grado di fare ragguardevoli danni.
Al di là di questo spiacevole episodio, se si vuole assistere ad un’esibizione di Josephine Foster bisogna essere psicologicamente preparati: il rischio di avere un’illuminazione mistica e, simultaneamente, una sonnolenza pesante è così labile da rendere il concerto di Miss Foster un’esperienza estrema.