Venezia 66. Concorso
Il film narra di una storia vera avvenuta nel 1954 a Taiwan, la Cina nazionalista, durante il periodo assurto agli onori delle cronache con il nome di Terrore Bianco. La vicenda è quella di una felice famiglia, madre, babbo e due bimbe, che abita in un piccolo villaggio al centro di Formosa che ospita i nuclei famigliari dei militari assegnati all’adiacente base militare areonautica.
Le due sorelline, tornando un pomeriggio a casa da scuola, trovano la loro casa sottosopra e i genitori scomparsi: sono stati arrestati dalla polizia militare con l’accusa di essere spie comuniste. La sorella più grande, Li, viene ospitata dai vicini di casa mentre la piccola e irrequieta Zhou viene accolta dalla ricca famiglia della sua migliore amica. Le due scoprono che a denunciare i genitori è stato Ding, vecchio amico di famiglia, innamorato di loro madre da tempo. Al ritorno della mamma dal campo di rieducazione, e in seguito all’esecuzione del marito, ding si offre di sposare la vedova. La quale, costretta a pensare innanzitutto al sostentamento delle due figlie, accetta.
Film strano questo Prince of Tears, almeno dal punto di vista produttivo: finanziato con capitali taiwanesi, honkonghesi e cinesi (fra i produttori accreditati figura anche il regista Fruit Chan), la pellicola si prende in carico la narrazione di un’epoca buia dell’isola di Formosa -in cui il comunismo veniva combattuto, paradossalmente, con modalità maosite- sfoggiando in tal modo una forte dose di autocritica, attributo peculiare e apparentemente poco noto nei paesi di lingua cinese. Ovviamente il fatto che la Cina comunista getti solo un’ombra marginale sulla storia narrata e che a essere colpita duramente sia la notoriamente poco apprezzata controparte nazionalista aiuta decisamente; aggiungete inoltre che la confezione prescelta è quella di un melodrammone dai toni popolari, in cui i veri protagonisti sono i sentimenti e le relazioni umane e giungerete facilmente alla conclusione che la potenziale carica politica esplosiva insita naturalmente nella testimonianza della famiglia Sun rimane inevitabilmente inespressa.
Yonfan, cinese continentale, sfrutta il suo passato come fotografo di moda di successo per infiorettare in bella maniera il suo ultimo lungometraggio: la fotografia senza sbavature, i colori brillanti e invitanti, i tableaux vivants dall’ottima composizione pittorica, nonchè l’ottimo grado di competenza tecnica raggiunto dalla produzione rendono Prince of Tears (titolo di un libricino illustrato per bambini che intacca marginalmente il cuore della vicenda) un film certamente piacevole da vedere. D’altro canto la lirica voce off che di tanto in tanto fa capolino per contrappuntare le immagini, il classicismo e la linearità con cui è trattata la narrazione ci riportano sulla terra dichiarando in maniera lampante gli intenti del film, che non reclama per sè nessun tipo di autorialità. La colonna sonora enfatica e i pleonasmi narrativi fanno il resto contribuendo alla sufficiente riuscita di un sentito drammone storico, di un film per certi versi potenzialmente interessante, ma creato per accogliere a braccia aperte torme di famiglie cinesi, il sabato pomeriggio, i cestelli ricolmi di popcorn.
Lei wangzi (Prince of Tears) by Yonfan –
Taiwan-Hong Kong, China,
Durata: 120′
Chih-Wei Fan, Terri Kwan, Joseph Chang, Kenneth Tsang, Zhu Xuan