Con la serata inaugurale del 4 giugno, ha preso il via l’VIII edizione del Festival di cinema partenopeo, in programma fino a domenica 11 tra le multisala Warner e Filangieri e l’istituto Grenoble. Il programma è ricchissimo: moltissimi gli eventi e le proiezioni proposte quotidianamente, concorsi (per film, per making of e per corti), rassegne, documentari, una sezione dedicata a Napoli e un’altra all’Oriente, percorsi d’autore, incontri tra registi e studenti, anteprime, omaggi a grandi attori del passato ed eventi speciali (come quello dedicato ai Mondiali di calcio). Tutto con un unico denominatore comune: l’Europa, soprattutto quella che verrà.
L’incontro a porte chiuse con Paolo Sorrentino è stato, come prevedibile, un evento di fortissimo richiamo per il pubblico napoletano. Non solo per la visione di due suoi cortometraggi, precedenti alle opere di maggior successo, e per la proiezione, in anteprima, della ripresa teatrale (realizzata dallo stesso Sorrentino) di Sabato, domenica e lunedì per la regia di Toni Servillo, ma perché la serata rappresentava un’occasione per chiacchierare con il regista partenopeo di ritorno da Cannes, dove, ahimè, il suo L’amico di famiglia non ha raccolto premi.
I suoi due corti sono surreali e divertenti: il primo, girato nel ‘98, si intitola L’amore non ha confini e racconta di un gangster di periferia che si ribella al suo boss, detto “il mahatma”, e alla sua corte di strani personaggi (Nello Monello, Ettore Maiorana che può parlare solo i giorni dispari e Eva Primadonna) in nome di un riscoperto amore di gioventù. Il secondo, La notte lunga, realizzato interamente in digitale nel 2001 e prodotto da Telepiù, insieme ad altri tre cortometraggi che hanno come tema comune la denuncia delle droghe, mostra un protagonista, il parrucchiere Manolo, che parla di sé in terza persona e si definisce “il Sinatra del colpo di sole e il Che Guevara della permanente”.
Si ritorna subito dopo al presente e l’interesse per L’amico di famiglia prende ovviamente il sopravvento. Come nasce l’idea di questo nuovo film, e soprattutto, dopo Tony Pisapia, il cantante cinico e cocainomane, e Titta Di Girolamo, il riciclatore in esilio, questo usuraio laido e orrendamente antipatico conferma un certo suo gusto per la marginalità? Sorrentino risponde alle domande con calma, con tono pacato e pare quasi schermirsi il più delle volte. Dice che un film non deriva mai da un’unica intuizione, ma da una continua osservazione della realtà, e che lo spunto per tratteggiare il suo ultimo personaggio nacque durante un viaggio in Siberia, anni fa. Si trovava lì per partecipare ad un concorso cinematografico che poi non vinse, ma lo colpì molto notare, per strada, una madre e un figlio, di una certa età, che avevano uno strano rapporto simbiotico. D’altronde, continua, la scelta del personaggio negativo, che è cinematograficamente interessante poiché produce conflitto e genera riflessione, si inserisce perfettamente nella tradizione del cinema italiano.
Il soggetto è scritto tutto intorno a Giacomo Rizzo: c’è stato grande lavoro di direzione sull’attore, cosa che con Servillo non era accaduta, molte prove prima del ciak e tempi anche lunghi di realizzazione. Ma perché aspettare fino ad Ottobre per distribuire il film? Farlo uscire a ridosso di Cannes sarebbe stato pericoloso: non è un’opera di immediata comprensione, ha bisogno di tempo per essere metabolizzata. E poi adesso, tra i Mondiali e l’estate…
Dopo un incontro con gli studenti in mattinata, nel pomeriggio Sorrentino è stato insignito del Vesuvio Award, il riconoscimento ufficiale del NFF.