SUL CONCETTO DI VOLTO NEL FIGLIO DI DIO – SOCÌETAS RAFFAELLO SANZIO

Cercasi Castellucci urgentemente

Dopo una lunga tournée che ha toccato i maggiori palchi europei, Romeo Castellucci sbarca a Venezia e porta il suo ultimo lavoro, “Sul concetto di volto nel Figlio di Dio”, davanti ad un pubblico accorso numeroso per applaudire chi ormai è giustamente salutato come uno dei grandi maestri della scena contemporanea.

In una stanza bianca e immacolata un vecchio guarda la televisione ad alto volume. Dopo un po’ entra anche il figlio che, accorgendosi che il padre si è sporcato, inizia ad accudirlo come fosse un bambino. Appena le operazioni di pulizia del corpo si sono concluse, una nuova scarica di dissenteria vanifica i gesti compiuti e l’uomo è costretto a ricominciare da capo. Su tutta la scena domina la riproduzione gigantesca di un quadro rinascimentale raffigurante il volto di Gesù, volto che nel finale si squarcia per lasciare in evidenza la provocazione del regista: la scritta “You are not my shepherd”, “Tu non sei il mio pastore”.

La presenza della figura di Cristo è profondamente ambigua. In quel volto dai sentimenti imperscrutabili si può leggere un parallelismo tra i dolori provati dal figlio dello spettacolo e le sofferenze del Figlio narrate nei brani della Passione evangelica. Di contro quella figura che guarda e non fa nulla, forse perché non può fare nulla, può essere vista come una presenza esclusivamente umana, un tragico Ecce homo impotente davanti alla sofferenza altrui. Da questa considerazione può nascere lo sgomento e la rabbia che si manifesta nel duro slogan che chiude la rappresentazione.

Romeo Castellucci porta in scena un’opera iperrealista che colpisce i sensi dello spettatore, non solo la vista e l’udito, ma anche (e soprattutto) l’olfatto. Infatti ogni volta che il vecchio “evacua”, si spande per la sala un odore acre e fastidioso. Già con la sua versione del Purgatorio, il regista aveva realizzato una messinscena che manteneva per parecchio tempo un andamento drammaturgico di stampo tradizionale, prima di abbandonarlo a favore di una nuovo linguaggio artistico che risultava un notevole elemento innovativo sul piano estetico. Qui invece, purtroppo, la narrazione procede in modo didascalico per quasi tutto il tempo e pure la conclusione non realistica, quasi onirica, appare più finalizzata a rimarcare il contenuto tematico che non a produrre un effetto estetico di qualche valore.

L’artista cade qui nella seduzione di ammaliare il proprio pubblico con un messaggio chiaro e magari anche condiviso da molti, ma commette l’errore di perdere di vista la componente prettamente artistica. Il risultato è uno spettacolo che riesce a suscitare immediati pietismi per quel vecchio che mormora “non ce la faccio più” e per quel figlio che imprecando esterna il suo intimo strazio, ma l’emozione presto svanisce e alla compassione subentra l’irritazione verso un prodotto spettacolare troppo didascalico per essere efficace. Cercasi Castellucci urgentemente: abbiamo bisogno della sua arte.

Sul concetto di volto nel Figlio di Dio – Socìetas Raffaello Sanzio
ideazione e regia Romeo Castellucci
con Gianni Plazzi, Sergio Scarlatella e con Dario Boldrini, Silvia Costa e Silvano Voltolina
musica originale Scott Gibbons collaborazione all’allestimento Giacomo Strada realizzazione oggetti Istvan Zimmermann, Giovanna Amoroso
suono Marco Canali in alternanza con Matteo Braglia luci Fabio Berselli
Durata: 45 minuti circa
www.labiennale.org