In sala dal 14 Febbraio, Alita – Angelo della battaglia è la creatura più ambiziosa a oggi mai partorita da James Cameron: è il grandeur hollywoodiano ai massimi storici, il trionfo del macchinismo cinematografico sui suoi limiti più inveterati che arriva a sfumare, fin quasi cancellandolo, il confine tra analogico e digitale, tra realtà e finzione, infondendo nelle immagini in movimento la purezza del sogno. Un blockbuster sci-fi degno di questo nome come non se ne vedevano da tempo – e come temevamo di non vederne più dopo Ready Player One di Spielberg.

Anno 2563. Devastata da una guerra di cui si è persa memoria, la Terra è ridotta a una landa desolata su cui si staglia una manciata città: una di queste è Salem, un paradiso futuristico sospeso nel cielo per evitare che gli abitanti dell’inferiore Città di Ferro possano raggiungerla. Alla ricerca di pezzi di ricambio per il suo ambulatorio, il dottor IdoChristoph Waltz – si imbatte nei resti di una ginoide – Rosa Salazar – scaricata come rifiuto dalla soprastante Salem, nonostante il suo nucleo sia ancora funzionante. Trattala in salvo, le dona un nuovo corpo bionico ma questa non ricorda nemmeno il proprio nome: la battezza così Alita, facendo voto di proteggerla. Non che ci sia molto da proteggere in realtà: trascinata dalla spericolatezza del giovane YugoKeean Johnson – Alita scopre il suo innato talento per combattere, che la porterà a sfrecciare sulla pista da motorball – gioco gladiatorio ad alta velocità – e ad aiutare Ido come cacciatrice di taglie per guadagnare quanto basta per pagarsi l’ascesa a Salem. Ma a minacciare il suo sogno ci sono il contrabbandiere VectorMahershala Ali – e la dottoressa ChirenJennifer Connelly –, entrambi al soldo di qualcuno che da lassù osserva la scena…

Alita – Angelo della battaglia

Gestazione complicata quella di Alita. Scoperto il manga di Yukito Kishiro tramite Guillermo del Toro – grande cultore della pop culture nipponica – Cameron inizia a lavorare a un adattamento già nel 2000, ma quando la tecnologia diventa abbastanza evoluta per iniziare a girare il progetto deve dividersi le attenzioni di papà con gli Avatar in crescita esponenziale. Da qui la decisione di accantonare l’ipotesi regia figurando solo come produttore assieme al fido John Landau, ma la sceneggiatura scritta con Laeta Kalogridis (Shutter Island, Terminator Genisys) funziona, anche se manca ancora una visione d’insieme. Poi nel 2015 il provvidenziale arrivo di Robert Rodriguez – a sua volta fan dell’opera di Kishiro – che riesce a snellire la stesura dell’amico e collega, condensando gli eventi dei primi quattro volumi (circa) in quello che è il primo capitolo di quantomeno una trilogia, considerati il cliffhanger e il materiale rimasto.

Ma quando si parla dell’adattamento di fenomeni di culto, ci si espone inevitabilmente al rischio di tradire l’originale. Serializzato a partire dal 1990 per 5 anni su Business Jump, “Alita” è il nome con cui la distribuzione americana ha ribattezzato la protagonista (Gally) del manga di Kishiro – manga il cui titolo peraltro è Ganmu, che combina i caratteri di “arma da fuoco” e “sogno” –, che da noi arriva inaspettatamente presto a un paio d’anni di distanza dalla sua conclusione grazie al formidabile contenitore che era Zero, la rivista della compianta Granata Press che fece conoscere per la prima volta al pubblico italiano l’opera di maestri quali Masamune Shirow, Gō Nagai, Ryōichi Ikegami e non solo.

Tavola del manga originale

Si può dire che fosse destino che Cameron avesse tanta difficoltà a dar forma al film, visto che lo stesso Kishiro non seppe bene come concludere l’epopea dell’angelo della battaglia, sua prima storia di ampio respiro che l’aveva costretto ad accantonare altri progetti – vedi alla voce Aqua Knight.

Per un autore che dalla prima alla (pen)ultima pagina riesce a caratterizzare in pochi scambi di battute personaggi – principali e secondari – moralmente ambigui e dai background coerenti, a dedicare a questi stessi personaggi (Zapan…) linee narrative autonome che poi vengono riprese quando meno ce lo si aspetta per regalare un colpo di teatro, a tratteggiare senza perdersi in digressioni – scordatevi le pappardelle dello Shirow di Ghost In The Shell – un universo cyberpunk conturbante con le sue contraddizioni e zone d’ombra, l’ultimo capitolo è davvero una zappa sui piedi che non rende onore né a chi la serie l’ha seguita né a chi l’ha scritta, mettendo in discussione anche la statura del personaggio principale– non siamo ai livelli di Gantz (2000-2013) di Oku, ma poco ci manca. Per lavare via l’onta non c’è altro modo che condannare quel finale alla damnatio memoriae e riprendere a scrivere/disegnare come se non fosse mai successo, cosa che gli riesce piuttosto bene con Alita Last Order, portato a compimento nel 2014 previo divorzio dalla Shūeisha a vantaggio della Kōdansha, su cui serializza pure Alita: Mars Chronicle – attualmente in corso, pubblicato in Italia da Planet Manga – a chiudere il cerchio sul passato del suo “angelo”.

Tavola da “Alita: Mars Chronicle”

Arriviamo adesso alla nota dolente: se queste sono le premesse del capolavoro di Kishiro, che cosa c’è e che cosa manca nel film di Rodriguez? Com’era inevitabile considerato il PG-13, nella versione cinematografica non si percepisce la cattiveria, lo squallore di un mondo claustrofobico in cui si consuma quotidianamente la lotta per la sopravvivenza.

La Città Discarica, in teoria situata da qualche parte negli Stati Uniti ma che consta di un’accozzaglia di elementi urbanistici geograficamente distanti, dai sobborghi di Taiwan ai piloni di sostegno delle highway americane, diventa la più blanda “Iron City”, più omogenea e somigliante in linea di massima a una grande città del Sud America, sicura quanto basta perché i ragazzini possano giocare da soli in strada.

Manca la questione della droga – giusto un accenno nel flashback di Ido/Waltz –, che nel fumetto si consuma a fiumi per migliorare le proprie prestazioni o dimenticare il presente; manca la questione dell’indifferenza sociale, incarnata dal personaggio di Makaku – nel film chiamato direttamente Grewishka, come nell’OAV in due episodi del ’93; manca la problematizzazione del progresso tecnologico, di quanto in là ci si possa spingere con gli innesti cibernetici prima di perdere la propria umanità; mancano le mutilazioni e i bagni di sangue che sono parte integrante dei combattimenti – anche l’occhio vuole la sua parte.

Alita – Angelo della battaglia

Consapevole che un simile lavoro di sottrazione avrebbe potuto trasformare Alita in un guscio vuoto, Rodriguez apporta delle modifiche strutturali per rendere la trama più adatta alle esigenze del grande schermo e motivare la propria rilettura in chiave teen – anche se la love story di fatto già c’era.

Ripescato dall’OAV di cui sopra il personaggio di Chiren – il che denota una conoscenza approfondita del materiale di partenza, compreso il suo frettoloso adattamento anime, quando il manga era in pieno svolgimento e Kishiro aveva altro a cui pensare – lo lega a doppio filo a Ido, introducendo una seconda Alita nel passato del dottore: la loro figlioletta disabile, assente nel manga, uccisa da un paziente in crisi di astinenza. Alita – Angelo della battaglia si configura così come una tanto dolorosa quanto scenografica riflessione sul senso di perdita, sulla famiglia “per scelta”, sul rapporto padre-figlia, sull’adolescenza come età del mutamento e del desiderio di essere accettati: il corpo del Berserker che Alita ritrova a metà film, in grado di cambiare forma a suo piacimento, allude proprio a questo – in realtà la capacità di evolversi non è propria del corpo del Berserker ma dell’Imaginos, l’ultimo corpo acquisito da Alita in ordine di tempo ma che Rodriguez qui anticipa in funzione del racconto di formazione e per introdurre la guerra con Marte.

Alita - Angelo della battaglia
Chiren e Vector nell’OAV diretto da Hiroshi Fukutomi (1993)

A fronte d queste variazioni, non si può dire che Alita sia un film perfetto di per sé, ma è perfetto date le premesse produttive. Nel momento in cui il soggetto originale finisce nelle mani di uno come James Cameron, l’appassionato deve adeguare le sue aspettative non alla propria idea di cinema ma a quella dell’autore, riservandosi il diritto di rinnegarlo qualora l’originale venga snaturato.

Eppure, nonostante i cambiamenti, il film mantiene intatto lo spirito della serie. Anche senza tinte fosche, Alita è sempre Alita: è un ex soldato che nasconde una forza e un trascorso terribili, una macchina da guerra che non ha scelto di essere tale ma che non può evitare di obbedire alla propria natura se vuole proteggere i suoi cari. È un’eroina che pur non essendo umana fa dell’umanità la sua crociata, confutando con le sue cadute e risalite il superomismo dilagante nel cinema di consumo, evidenziandone tutta la mediocrità: la vera forza sta nel sapersi rialzare e portare a termine la propria battaglia, non per benevolenza verso gli altri dall’alto di qualche virtù superiore, ma perché è l’unico modo per salvare anzitutto se stessi.

Alita – Angelo della battaglia non sarà l’adattamento che i puristi di Kishiro volevano, ma è l’adattamento di cui il mito di Alita aveva bisogno per continuare a vivere. È quello che in un certo senso ci sarebbe voluto per il live action di Ghost In The Shell, sprofondato (giustamente) nell’oblio e che invece avrebbe potuto infondere nuova linfa in un classico: anche qui un soggetto di partenza complesso, stratificato e con riflessioni che all’epoca avevano cambiato le carte in tavola, ma dietro la macchina da presa era stato messo un signor nessuno e gli sceneggiatori non se la sono sentita né di restare fedeli al franchise né di proporre una propria storia. Risultato: un prodotto dai contorni incerti che non è piaciuto ai neofiti, figurarsi agli appassionati, quando avrebbe potuto incassare qualche applauso semplicemente distaccandosi dall’ermetismo dei lungometraggi di Oshii. Guarda caso GITS è una delle opere che più ha influenzato l’immaginario di Cameron: in un universo parallelo forse se ne sarebbe occupato lui e, chissà, magari le cose sarebbero andate diversamente.

Alita – Angelo della battaglia

Anche se dispiace non riuscire a distinguere l’impronta registica di Rodriguez, che consapevole della reale paternità del film si è limitato al ruolo di “facilitatore” – così si definì nei confronti di Frank Miller ai tempi di Sin City – Una donna per cui uccidere (2014) –, il nome di James Cameron si riconferma garanzia di grande spettacolo.

La prima cosa di cui ci si rende conto guardando il film è che gli occhioni e il faccino fumettoso di Alita/Salazar non danno per niente fastidio: il fotorealismo della performance capture affidata alla Weta Digital – lo studio fondato da Peter Jackson responsabile anche degli effetti speciali di Avatar –, che consente di registrare allo stesso tempo i movimenti del corpo e le espressioni facciali, omologa umani e androidi mantenendo viva l’illusione di un futuro in cui questa distinzione è venuta a cadere. Il green screen è stato utilizzato il meno possibile, affidandosi alle maestranze tradizionali per mettere in piedi le scenografie e i mille oggetti di scena – il laboratorio del dottor Ido per esempio è tutto ricreato in studio –, ma il piatto forte ovviamente è il motorball, che per fortuna occupa buona parte del minutaggio. Di fronte a robot mastodontici che si sfidano su un tracciato a 300 km/h per poi continuare la scazzottata anche fuori dalla pista, scagliando le loro armi in faccia allo spettatore munito di occhialini 3D, viene voglia di saltare sulla poltrona a prescindere dall’età. E state sicuri che dopo aver visto questo a più di qualcuno verrà voglia di recuperarsi il manga.

Alita – Angelo della battaglia

Alita – Angelo della battaglia è un film da vedere, e da vedere assolutamente al cinema per l’esperienza immersiva che offre grazie alle tecnologie di cui sono provviste le moderne sale. È un ottimo compromesso in grado di piacere a chi Alita la conosce da tempo e a chi la incontra per la prima volta, che si fonda su un precario ma a suo modo miracoloso equilibrio regista-produttore che speriamo continui a reggere. E se saremo abbastanza fortunati, nei prossimi capitoli la bilancia penderà un po’ dalla parte di Rodriguez…